The Abruzzese Dream – n°3

Gli abruzzesi che hanno “fatto” l’America – John Fante

(vedi Intro)

(foto by Turismo letterario)

A volte la polvere, quella che il vento trascina nel mondo, quella che attraversa il tempo senza mai scomparire, incrociando casualmente luoghi e generazioni, porta con se memorie di storie vissute che sono in grado di lasciare il segno nella vita di chiunque incontri per strada. E, se invece di esserne infastiditi, si rimanesse in silenzio ad ascoltare la sua voce, essa sarebbe in grado raccontarci ciò che di straordinario è stata in grado di vedere.

Così come ha provato a fare John Fante, “abruzzo-americano” di seconda generazione, nato negli Stati Uniti d’America (Denver, 8 aprile 1909 – Los Angeles, 8 maggio 1983), in grado di percepire le parole della polvere e riuscire a tradurle in un’opera letteraria fuori dal tempo. Diventando, così, una delle comete più luminose della letteratura americana e mondiale.

(Ascolta la puntata a lui dedicata de “il falco e il gabbiano” di E. Ruggeri)

(foto by Agenda Lugano)

Il suo romanzo più importante, “Chiedi alla Polvere“, non a caso, durante i primi anni della sua vita, fu snobbato dalla critica e dimenticato tra la polvere degli scaffali. E’ stato solo grazie all’intervento di un’altro grande scrittore, Charles Bukowski, che ritrovò per caso, in una biblioteca, una copia impolverata delle avventure di Arturo Bandini, l’alter ego del nostro abruzzese, innamorandosene e facendolo conoscere al mondo: “Rimasi fermo per un attimo a leggere, poi mi portai il libro al tavolo con l’aria di uno che ha trovato l’oro nell’immondezzaio cittadino“. Da quel momento in avanti i romanzi di John Fante sono stati pubblicati in tutto il mondo.

L’unica maniera di conoscere e comprendere un personaggio così controverso e irrequieto come questo scrittore, il narratore più maledetto del mondo, è proprio quello di “chiedere alla polvere“. La polvere calpestata dai migranti, capace di riportare indietro il tempo, giorno in cui in Abruzzo il padre, Nicola Fante, per sfuggire al freddo e alla miseria della sua terra, ha deciso di attraversare l’oceano per lasciare le montagne della Majella e raggiungere quelle quasi simili del Colorado.

Con la madre, Maria Campoluongo, fervente cattolica, John Fante è sempre riuscito a trovare rifugio e conforto per affrontare con coraggio la misera della sua esistenza:

La cucina: il vero regno di mia madre, l’antro caldo della strega buona sprofondato nella terra desolata della solitudine, con pentole piene di dolci intingoli che ribollivano sul fuoco, una caverna d’erbe magiche, rosmarino e timo e salvia e origano, balsami di loto che recavano sanità ai lunatici, pace ai tormentati, letizia ai disperati. Un piccolo mondo venti-per-venti: l’altare erano i fornelli, il cerchio magico una tovaglia a quadretti dove i figli si nutrivano, quei vecchi bambini richiamati ai propri inizi, col sapore del latte di mamma che ancora ne pervadeva i ricordi, e il suo profumo nelle narici, gli occhi luccicanti, e il mondo cattivo che si perdeva in lontananza mentre la vecchia madre-strega proteggeva la sua covata dai lupi di fuori…(La confraternita dell’uva)

Casa natale del padre a Torricella Peligna (foto by Avvenire)

Con il padre, invece, non è mai riuscito ad avere un rapporto sereno. Da sempre una figura assai difficile con cui confrontarsi, talmente amato da essere menzionato, nei suoi scritti, come “Il Dio di mio padre”, e allo stesso tempo odiato per la vita dissoluta che conduceva, uomo violento, aggressivo e autoritario che, un giorno, decise addirittura di abbandonarlo quando era solo un giovane ragazzo. Ecco come viene descritto, con il suo Alter Ego Svevo Bandini, in una delle sue opere:

“Avanzava, scalciando la neve profonda. Era un uomo disgustoso. Si chiamava Svevo Bandini (…). Detestava la neve. Faceva il muratore e la neve gelava la calce tra i mattoni che posava (…). Anche da ragazzo, in Italia, in Abruzzo, detestava la neve. Niente sole, niente lavoro. Adesso viveva in America, nella città di Rocklin, Colorado. (…). Le montagne c’erano anche in Italia, simili a bianchi monti a pochi chilometri di distanza verso occidente. Le montagne erano un gigantesco abito bianco caduto come piombo sulla terra.” (Aspetta primavera, Bandini)

E’ stupefacente vedere come, ancora oggi, i familiari rimasti in Italia che si possono incontrare passeggiando tra i vicoli del suo paese d’origine, Torricella Peligna, ricordano le minacce di morte che il padre fece nei suoi confronti se mai fosse tornato a casa (proprio come racconta il suo cugino carnale in questo video).

L’Abruzzo di John Fante è un luogo che, per quanto lontano e mai visitato realmente, è la garanzia di radici, di gente che a prescindere dal tuo ritorno, è rimasta ad aspettarti, come effettivamente è stato. Torricella Peligna è il luogo della sua mitologia familiare. Un mondo popolato da luoghi e personaggi leggendari che il padre gli raccontava quando era ancora bambino.

Torricella Peligna (foto by Abruzzo news)

Così come San Rinaldo di Fallascoso e il suo eremo,dove gli abitanti si recano ancora oggi con devozione e si racconta di incredibili guarigioni, o della Fonte delle Sese (o di Sant’Agata) dove le donne partorienti si vanno ad abbeverare e si lavano, attraverso riti millenari, per far si che ricevano la grazia di produrre il proprio latte materno in abbondanza. Luoghi ed eventi leggendari che in America, una società così moderna, nemmeno ci si sogna di avere.

Fonte delle Sese (foto by Sangro Aventino turismo)

Nel romanzo “Aspetta primavera Bandini“, l’Abruzzo diventa l’argomento di un divertente e divertito dialogo tra Svevo, l’Alter Ego del padre, e una ricca e colta vedova americana presso la quale doveva trovare lavoro:

“E così lui era italiano. Splendido. (…). Doveva sentirsi orgoglioso delle sue origini. Non sapeva anche lui che la culla della civiltà occidentale era proprio l’Italia? Aveva mai visto la cattedrale di San Pietro, gli affreschi di Michelangelo, l’azzurro del Mediterraneo. E la Riviera? No, non li aveva mai visti. Le disse con parole semplici che era abruzzese, e non si era mai spinto a nord, nemmeno a Roma. Aveva lavorato duro, fin da ragazzo. Non aveva avuto tempo per nient’altro. L’Abruzzo! La vedova sapeva tutto. Ma allora aveva sicuramente letto le opere di d’Annunzio, era abruzzese anche lui. No, non l’aveva letto, quel d’Annunzio. Ne aveva sentito parlare, ma non l’aveva mai letto. Sì, sapeva che quell’uomo importante era della sua provincia. La cosa gli faceva piacere, sentiva gratitudine per d’Annunzio. Finalmente aveva trovato un terreno comune, ma con suo grande sconforto s’accorse di non avere nient’altro da dire sull’argomento.”

Ma proprio come il padre, un idolo e allo stesso tempo una disgrazia, anche l’Abruzzo si presenta come un meraviglioso miraggio per cui essere fieri e, allo stesso tempo, come un ingombro di cui sbarazzarsi. Su John Fante, infatti, incombe tutto il peso del pregiudizio nei confronti degli Italiani, una polvere che difficilmente si riusciva a togliere dai propri vestiti, neppure quando li si lavava per bene: mangia spaghetti, selvaggi ubriaconi, violentatori e assassini, mafiosi, sporchi come maiali. È un tema caro a Fante, soprattutto trattato nella sua raccolta di racconti “Dago redUna vicenda umana che sembra attualissima in cui sta dentro tutta la speranza e il dolore dei migranti. L’odio del razzismo e la volontà di inclusione di quella misera comunità italiana, salpata con pochi stracci polverosi riposti nella valigia di cartone e che una volta sbarcata in America andava alla ricerca di sogni una vita migliore. La forza per la ricerca di un successo letterario, da parte dello scrittore abruzzese, probabilmente, proviene dalla voglia di un riscatto sociale in grado di sconfiggere il pregiudizio che su di lui incombe in quanto italiano.

Mediateca John Fante a Torricella Peligna (foto by qualche riga d’Abruzzo)

Un successo ottenuto con estrema fatica, quasi insperata. John Fante di polvere ne ha dovuta mangiare fin troppa, e ci si è dovuto sporcare persino le sue preziose mani di scrittore, prima ancora che i suoi capolavori venissero riconosciuti. Una vita miserabile che non sembra finire mai:

“Ho fatto un sacco di lavori al porto di Los Angeles perché la nostra famiglia era povera e mio padre era morto. Il mio primo lavoro, poco dopo la maturità, fu quello di spalatore di fossi. Di notte non potevo dormire per via del mal di schiena. Stavamo facendo uno scavo in un terreno, non c’era neanche un po’ d’ombra, il sole picchiava dall’alto di un cielo senza nuvole, e io giù in quella buca a scavare insieme con due cani da valanga che avevano una vera passione per lo scavo, sempre là a ridere e a raccontarsi barzellette, ridendo e fumando un tabacco puzzolente…” (La strada per Los Angeles)

Il riconoscimento dovuto a John Fante, però, arrivò molto tardi e quasi a ridosso della sua morte. In questi ultimi anni, però, il suo nome è stato affisso sulle pareti della Hall of Fame dei più grandi scrittori d’America. Una carriera riconosciuta anche nel Cinema hollywoodiano attraverso l’adattamento cinematografico di alcuni dei suoi romanzi più importanti, tra i quali il film cult “Chiedi alla Polvere” (di cui qui sotto è possibile vedere il trailer)

Il nostro VIP statunitense di origini abruzzesi, però, a Torricella Peligna non è mai tornato davvero, nonostante quando, la primavera di sessant’anni fa, sbarcato in Italia per un lavoro di sceneggiatore in un’opera cinematografica, ci arrivò vicino. Così come racconta il suo biografo Stephen Cooper «Fante parcheggiò nella piazza del paese, ma immediatamente obbligò l’autista a fare marcia indietro, preso dal panico di calpestare gli stessi posti in cui aveva camminato il padre». Un paese mitologico che desiderava vedere ma che, difronte alla realtà che poteva apparire davanti ai suoi occhi adulti, alla polvere dei passi lasciati dal passato del padre, avrebbe riaperto una dolorosa cicatrice mai rimarginata.

Da un po’ di tempo a questa parte, in compenso, i suoi concittadini abruzzesi lo fanno simbolicamente “tornare” ogni anno, durante il mese di Agosto, con il John Fante Festival

 

Continuate a visitare con noi la nostra “Hall of Fame”: Rocky Marciano – Bradley Cooper

The Abruzzese Dream – n°2

 

Gli abruzzesi che hanno “fatto” l’America – Bradley Cooper

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(foto by Wikipedia)

Nella nostra “Hall of Fame”, per quanto riguarda i VIP statunitensi di origine abruzzese, a Ripa Teatina non c’è spazio solo per Rocky Marciano ma anche per un altro grande personaggio, stavolta contemporaneo, Bradley Charles Cooper (Filadelfia, 5 Gennaio 1975). Attore, regista, icona del cinema hollywoodiano e sex symbol 2011 secondo la rivista americana “People“… giusto per ricordare che in Abruzzo siamo anche tra gli uomini più affascinanti e desiderati del mondo!

Una carriera ancora molto lunga da percorrere ma che, nel frattempo, gli ha già permesso di collezionare la presenza in film importanti, alcuni dei quali lo hanno portato a sfiorare l’Oscar per ben 4 volte. Protagonista di film cult come “Una notte da Leoni” e il remake della famosissima serie tv “A-Team”, dove Bradley Cooper si immedesima nel ruolo di Templeton “Sberla” Peck. Per non parlare delle pellicole girate da registi di spessore come Clint Eastwood, con le quali è stato chiamato ad interpretare, ad esempio, “American Sniper”, il cui ruolo lo vedeva alle prese con un cecchino degli Stati Uniti d’America durante la guerra in Iraq dopo gli attacchi dell’11 Settembre. O dei film girati con la presenza di attori del calibro di Robert De Niro, altro italo-americano, come “Limitless”, l’avvincente storia della pillola di NZT capace di far funzionare il cervello al 100%, anziché al suo abituale 20%, e che porterà il protagonista a realizzare cose inimmaginabili nella sua vita. Bradley Cooper, nella vita reale, è riuscito a fidanzarsi anche con “Bridget Jones”, o meglio, l’attrice che la interpreta, Renee Zelwegger, ma la storia non ha avuto lieto fine. Al Festival di Venezia di quest’anno, infine, il nostro divo abruzzese si è addirittura voluto cimentare come regista nel film “A star is born”, avviando, così, una nuova carriera. Non ci resta che augurargli di avere lo stesso successo, anche in questo campo, che ha già ottenuto come attore, e di onorare finalmente l’Abruzzo con un’altra statuetta d’orata (si perché abbiamo già “vinto l’Oscar” con altri abruzzesi ma di questo parleremo una delle prossime volte).

Bradley Cooper è innamorato dell’Italia e afferma di dovere tutto alla sua discendenza di origine abruzzese. In particolare ricorda la nonna materna, Assunta De Francesco, di Ripa Teatina, che gli ha trasmesso, così come egli stesso ha affermato, la morale, l’educazione, l’attaccamento alla famiglia e, soprattutto, l’amore per il cibo… quello abruzzese! Il nostro attore non ci ha ancora raccontato, nello specifico, aneddoti particolari riguardo al rapporto che aveva con lei, ma immaginiamoci, ora, di vederlo da bambino, seduto attorno a un tavolo con sua nonna Assunta, magari davanti a un bel piatto di Sagne e Ceci, inteso ad ascoltare le storie del suo paese di origine. Di sicuro gli

(foto by Wikipedia)

sarà stato raccontato anche del tragico evento verificatosi durante la campagna militare in Italia condotta da Napoleone avvenuto nell’Ex Convento francescano, adiacente alla bellissima Chiesa di Santa Maria della Pietà, teatro di un terribile scenario. In quel periodo alcuni rivoltosi che si erano ribellati al domino napoleonico, perdendo il controllo della città di Chieti, si erano ritirati trovando rifugio dai frati. Quando furono scoperti, transalpini e i ribelli diedero vita ad uno scontro cruento nel quale persero la vita circa 600 persone tra ambo due le parti. Le truppe napoleoniche ebbero la meglio e per ripicca decisero di prendersela con i poveri religiosi che furono, così, sterminati e gettati nel pozzo del chiostro del convento, che ancora oggi può essere visitato. Chissà se, forse, Bradley Cooper, ricordandosi della sua Ripa Teatina, deciderà, un giorno, di immortalare questa vicenda in una pellicola cinematografica e farla conoscere al mondo intero. Nel frattempo, il paese si impegna a ricordare il drammatico evento, quasi ogni anno, con la rievocazione storica “Quella notte al Convento“.

(foto by Wikipedia)

Non saremo noi, ora, ad annunciare chi sarà il VIP abruzzese di cui vi parleremo la prossima volta ma lo faremo fare direttamente dal nostro attore americano attraverso uno spezzone di un film del 2012 “L’energia delle parole – The Words”, insieme a un altro grande interprete, Jeremy Irons. Guardatelo attentamente… sarete così bravi da riuscire a scoprirlo da soli?

Vedi articoli precedenti: Rocky Marciano

The Abruzzese Dream – n°1

(foto by David Giovannoli)

Gli abruzzesi che hanno “fatto” l’America – Rocky Marciano

(vedi Intro)

Ad aprire le porte della “Hall of Fame” dei nostri VIP sarà proprio lui, Rocky Marciano, alias Rocco Francis Marchegiano (Brockton, 1 settembre 1923 – Newton, 31 agosto 1969) figlio di un abruzzese, espressione in carne ed ossa dell’appellativo “Abruzzo Forte e Gentile”. Ispiratore del celeberrimo film e della saga di “Rocky Balboa” interpretato da un altro Italo-Americano, Sylvester Stallone.

(foto by Wikipedia)

“Forte” perché, secondo gli esperti, è stato il più grande pugile di tutti i tempi, l’unico peso massimo della storia a ritirarsi imbattuto, su 49 incontri professionistici disputati non ha mai perso e ha vinto mettendo KO gli avversari in 43 occasioni. E’ stato campione dei pesi massimi dal 1952 al 1956. Aveva uno stile di combattimento abbastanza “sporco”, non possedeva, infatti, una grande tecnica e non era dotato di un’impostazione bella a vedersi come ad esempio poteva avere Muhammad Ali, pugile molto più celebrato ma che è stato sconfitto in un match surreale faccia a faccia, intitolato “The Super Fight“, ricostruito attraverso tecniche video ma straordinariamente vere. La vittoria del pugile abruzzese fu decretata da una commissione di tecnici e dal risultato di un complesso algoritmo di probabilità calcolato da un computer.

Rocky Marciano, durante i match, ne prendeva parecchie ma sapeva incassarle bene perché non si arrendeva mai, accompagnando i suoi avversari in lunghi ed estenuanti incontri, fino a quando riusciva a trovare il momento giusto per sferrare il suo destro micidiale. Una descrizione, questa, che ci sembra sentire ogni volta che si parla della nostra regione, soprattutto nei momenti drammatici, in cui gli abruzzesi danno prova, nonostante tutto, di essere sempre capaci di continuare a combattere e conquistare nuove vittorie.

“Gentile” perché basta guardarlo e invece di riscontrare un’espressione da guerriero ti imbatti in un volto che esprime bontà d’animo e serenità. Rocky Marciano non dimostrava di sentirsi mai superiore a nessuno e quando combatteva assumeva una postura così bassa che sembrava voler esprimere tutta la sua umiltà. Storia di emigranti, la sua, come quella di migliaia di italiani che lasciarono la loro terra in cerca di fortuna e che, invece, si imbatterono in una vita di stenti e di sacrifici dove la dignità non era una certezza. Storia di una favola che si realizza, dove la fatica e il sudore condurranno al riscatto dalla povertà e a raggiungere un insperato successo, riuscendo a portare onore ad un popolo, quello italiano, all’epoca fortemente discriminato e vittima di pregiudizi. Il motivo per cui il pugile abruzzese cominciò a combattere, infatti, fu per riuscire ad allontanare il padre dalla fabbrica di scarpe all’interno della quale rischiava quotidianamente la vita per le condizioni lavorative, e con l’unico risultato di riuscire a malapena a sfamare la propria famiglia. Un pugile, che, quando spediva in ospedale gli avversari, si preoccupava per loro e rimaneva al loro fianco finché non guarivano, e che salvò dalla disgrazia finanziaria l’avversario più importante mai sconfitto in carriera, Joe Louis, nonché suo idolo da bambino.

Le origini del pugile abruzzese ci conducono a Ripa Teatina, paese che ha dato i natali al suo amato papà, Quirino Marchegiano, e che ogni anno, nel mese di Luglio, ricorda il suo campione con il Festival Premio Rocky Marciano che celebra le gesta dei più grandi eroi dello sport. La Cantina Ripa Teatina, inoltre, gli ha dedicato addirittura un vino, il “Montepulciano d’Abruzzo Rocky Marciano“. Ma per scoprire a fondo questo personaggio la cosa migliore da fare è quella di addentrarsi tra le vie di questo piccolo borgo situato sulle colline frentane ripercorrendo, di pari passo, le strade che Rocky calpestò quando, il 1 Settembre 1964, giorno del suo 41° compleanno, decise di farvi tappa per “colpa” della Porchetta più buona del mondo. (https://www.gazzetta.it/Sport-Vari/21-07-2018/rocky-marciano-ritorno-casa-280784658416.shtml) Mentre si cerca di comprendere la sua storia in profondità, oltre a lasciarvi andare alla ricerca di dove sia possibile assaggiare questa delizia assolutamente abruzzese, accompagnata dal vino che porta il nome del campione assoluto di boxe, non si riuscirà ad evitare di farsi attrarre dalla Torre muraria di Porta Gabella che sarà capace di condurvi all’interno

(foto by Wikipedia)

delle viscere del paese e alla visita di un interessante museo. E, ricordandosi di sua madre, che durante gli incontri, invece di assistere ai match, preferiva recarsi in chiesa per pregare la Madonna affinché evitasse a suo figlio e ai suoi avversari incidenti che mettessero a repentaglio la loro vita, non si può che concludere questo straordinario viaggio se non recandosi alla Chiesa di S. Pietro Apostolo dove è conservata la bellissima tela della Madonna del Sudore (http://www.ripateatina.org/madonna-del-sudore-a-ripa-2/),

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immagine quasi sicuramente conservata in casa dei genitori di Rocky e che ogni anno, il 22 Marzo, giorno nel quale nel 1728 avvenne il miracolo, gli abitanti portano in processione perpetuando, ormai da secoli, l’antico rituale. La comunità di Ripa Teatina, inoltre, la festeggia ogni estate, durante l’ultima settimana di Settembre, nella “Festa Patronale della Madonna del Sudore e di San Rocco“.

Continua a seguire la nostra “Hall of Fame”: Bradley Cooper

The Abruzzese Dream – Intro

(foto by David Giovannoli)

Gli abruzzesi che hanno “fatto” l’America

Alcuni statunitensi volevano visitare l’Abruzzo… allora cosa di meglio se non portarli a conoscere la nostra bellissima terra attraverso un tour esperienziale sugli “abruzzesi” che avevano contribuito a costruire l’America? Non vi parleremo dei dettagli di come abbiamo organizzato l’evento ma vi faremo stupire nel conoscere questi personaggi, il borgo del quale erano originari e la loro “religiosità”.

Entrate con noi nella nostra “Hall of Fame”: Rocky MarcianoBradley Cooper