Eccellenza d’Abruzzo n. 48 – Guardiagrele (CH): il Duomo di Santa Maria Maggiore

Continua il viaggio straordinario alla scoperta delle 305 Eccellenze dei 305 Comuni d’Abruzzo.  Oggi Abruzzomania, con la rubrica Eccellenze d’Abruzzo, presenta la sua 48° Eccellenza, , quella del comune di Guardiagrele in provincia di Chieti, il suo splendido Duomo di Santa Maria Maggiore. Ricordo che di eccellenze abruzzesi ne abbiam censite ben 305, una regina per ognuno dei 305 comuni della nostra regione, per cui ne mancano all’appello 257, tutte già selezionate! Ogni paese d’Abruzzo merita di partecipare a questo concorso di Eccellenze d’Abruzzo per mettere in mostra la sua eccellenza speciale ed avere il suo meritato riconoscimento.

Ai piedi delle Maiella, sul versante orientale, si trova Guardiagrele, un borgo dalla storia molto antica e ricca di avvenimenti, in cui molto prima della nascita di Cristo, le tribù italiche dalle quali sarebbe poi nata la città di Chieti, stabilirono importanti villaggi, conquistati poi dai romani e sviluppatisi in epoca medievale e rinascimentale. Nonostante i secoli trascorsi, del suo passato il paese conserva numerose testimonianze tra le quali un vero capolavoro dell’architettura sacra: la chiesa di Santa Maria Maggiore.  La collegiata di Santa Maria Maggiore  oggi duomo di Guardiagrele, è uno scrigno che custodisce opere di grande importanza nell’elaborazione del linguaggio rinascimentale che  costituisce il più rilevante e articolato complesso monumentale cittadino ed è il risultato di ben otto secoli di trasformazioni architettoniche ed artistiche, che presenta una struttura complessa, frutto del susseguirsi delle fasi costruttive nei secoli e dei restauri del XII-XIII secolo e del XVIII secolo ed è caratterizzata da un’elegante facciata in pietra della Majella in cui è incorporata una massiccia torre campanaria, (che procurò alla città la definizione di “città di pietra” da Gabriele D’Annunzio ne “Il trionfo della morte”), dominata da un portale che ben rappresenta il gotico abruzzese, con le sue ricche lavorazioni a fasci di colonne e capitelli con motivi floreali e un archivolto a cordoni concentrici fortemente strombato.

La tradizione locale fa risalire l’edificazione della chiesa al 430 d.C., sui resti di un antico tempio pagano, mentre gli studi attuali attribuiscono l’origine a una chiesa cimiteriale del XIII secolo, la primitiva Santa Maria che venne edificata, tra la fine del XII e l’inizio del XIII sec., all’esterno della prima cinta muraria della Guardia collocata fuori dalle mura del castrum. Lo storico locale Francesco Paolo Ranieri parla appunto di due chiese ben distinte nel XIII secolo: Santa Maria e l’attigua Chiesa della Natività di Gesù, che verrà fusa nella nuova fabbrica dopo i danni del sisma del 1706. La chiesa subisce nel 1700 una totale trasformazione che ha restituito l’attuale impianto costituito da tre edifici: l’avancorpo, con il campanile e l’atrio, l’antica aula principale oggi cripta, la cappella della Madonna del Riparo, oggi chiesa di San Rocco e dell’edificio originale è sopravvissuto solo il prospetto sotto il portico meridionale, seppur con diverse aggiunte, come il secondo portale. Inserito nel 1578, quest’ultimo fu probabilmente ricavato da un blocco che in origine doveva essere un altare ed è caratterizzato da ricche decorazioni a treccia, grottesche e motivi floreali. Il portico fu prolungato nel 1882 oltre via dei Cavalieri, con l’affissione di un lastrone di pietra atto a coprire gli stemmi, affissi sul muro, delle famiglie guardiesi più importanti.

A seguito dell’espansione urbanistica della città, promossa dalla famiglia de Palearia (all’epoca conti di Manoppello), l’edificio perse la sua iniziale funzione, per acquisire il ruolo di fulcro della vita pubblica cittadina. Nella prima metà del Trecento la chiesa acquisì un discreto patrimonio fondiario e si dotò di un imponente corpus di corali miniati per le funzioni liturgiche, costituito da un Graduale in tre volumi e un Antifonario in quattro volumi. Nel 1365, per volere del nuovo conte di Manoppello, Napoleone Orsini, venne elevata al rango di chiesa collegiata e poi ampliata mediante la realizzazione di due porticati sui due prospetti laterali dell’edificio, con la cappella di San Giovanni Battista, eretta pochi anni dopo, che divenne cappella funeraria della famiglia Orsini. Agli inizi del Quattrocento venne introdotta la denominazione di Santa Maria Maggiore e, a seguito della cacciata degli Orsini, la nascente Universitas cittadina, che proprio nell’edificio riuniva i suoi parlamenti, promosse l’edificazione dell’imponente torre campanaria, inserita all’interno della facciata duecentesca. Sulla sommità della torre sono osservabili tracce che rimandano a una cella campanaria ottagonale, abbattuta dagli eventi sismici susseguitisi nel tempo, in particolare il terremoto del 1706, che implicò la ricostruzione di una torre campanaria quadrata, in stile diverso dal gotico della facciata, distrutta nel 1943.

Nei due secoli successivi allo spostamento del camposanto, la chiesa venne abbellita e arricchita con opere d’arte. Nel XIV secolo furono effettuate le principali modifiche all’edificio quali la costruzione della torre campanaria e il porticato settentrionale e nel secolo successivo vennero aggiunti o rinnovati altri importanti elementi architettonici e di arredo come il portale principale a sesto acuto, le monofore della facciata, gli affreschi sotto i porticati. Intorno agli anni ’30 del secolo, maestranze teutoniche, forse giunte al seguito di Gualterius de Alemania e ancora attive in Abruzzo, realizzarono lo splendido portale gotico di facciata, impreziosito nella lunetta con ante in legno datate 1686 dal gruppo scultoreo dell’Incoronazione della Vergine, opera del maggior artista abruzzese, scultore e orafo del Quattrocento Nicola da Guardiagrele, esposto ora nel museo del duomo che fu inaugurato nel 1987, artista che nel 1431, realizzò anche una preziosa croce processionale di San Giovanni in Laterano in argento sbalzato e smalti, purtroppo trafugata nel 1979 insieme ai corali miniati trecenteschi e recuperata solo in parte ed esposta nel museo del Duomo.

Tra i vari oggetti d’arte si segnalano i frammenti della croce processionale d’argento del celebre del Quattrocento Nicola da Guardiagrele, firmata e datata 1431. La croce fu rubata anni fa, smembrata e immessa sul mercato antiquario clandestino per essere venduta a pezzi, di cui solo alcuni sono stati recuperati. Agli inizi del Settecento, dovendo ampliare la chiesa ma facendo fronte anche alla necessità di non ostruire via dei Cavalieri, l’interno del Duomo è rialzato di un piano da cui si accede mediante un arco alla cappella di San Rocco, per permettere l’accesso dalla medesima strada dei Cavalieri, si decise di ricorrere alla sopraelevazione dell’intera aula prolungandola fino alla chiesa della Madonna del Riparo, situata sul lato opposto della strada che divenne un locale di sgombero chiuso. Il soffitto a capriate lignee è stato ripristinato negli anni ’50, quando la chiesa era stata danneggiata dai bombardamenti della guerra. Il soffitto, dopo il terremoto del 1706, era stato realizzato a cassettoni con i lacunari ornati da fioroni. I muri sono scanditi da paraste alternate ad altari in stucco, dentro cui sono presenti statue o dipinti. Sul lato sinistro particolarmente rilevante sono la Deposizione, tela seicentesca del pittore ferrarese Giuseppe Lamberti, e il pulpito in legno di noce su cui sono incise scene della Vita di Gesù. Sul versante opposto è presente un paliotto medievale ricomposto con elementi in pietra eterogenei, dentro il quale è posta una composizione a formelle, sovrastato da una tela di fine Cinquecento che rappresenta l’Assunzione di Maria. Nella sagrestia sono conservati una Crocifissione di Francesco Maria De Benedictis, le Anime purganti di Nicola Ranieri e quattro episodi della Vita di Cristo, tutte opere di artisti guardiesi e risalenti al XIX e XX secolo.

Benché l’interno si mostri, a navata unica, prevalentemente barocco, con il soffitto a capriate, rifatto dopo il 1944, l’esterno è il punto di interesse della cattedrale, con la facciata a torre centrale, decorata da portale con una copia del gruppo dell’Annunciazione, di Nicola Gallucci, un finestrone centrale, e un piccolo oculo. Sulla sinistra e la destra si trovano due portici, uno con il gigantesco affresco rinascimentale del 1473 un affresco di Andrea De Litio di San Cristoforo pellegrino (unica opera firmata e datata dall’artista), che mostra il santo nell’atto di attraversare un corso d’acqua gremito di pesci sorreggendo sulle spalle il bambino Gesù, che a sua volta innalza un globo sul quale sono scritte le lettere A A E (iniziali dei tre continenti conosciuti allora); l’altro portico è più interessante, ha un orologio, sovrastato dalla riproduzione dello stemma civico di Guardiagrele, e all’interno un dipinto ad affresco della Madonna del Latte. Probabilmente alla prima fase costruttiva fanno riferimento le due date ‘1133’ e ‘1150’ incise sulla facciata, riportate negli scritti dallo storico settecentesco Anton Ludovico Antinori, ma che sono sparite. Certo è che nel 1256 il cimitero venne spostato nelle vicinanze della chiesetta di San Siro, l’attuale chiesa di san Francesco d’Assisi, poiché il fulcro della vita cittadina e delle sue principali attività si stava spostando a Santa Maria Maggiore.

La nuova chiesa di Santa Maria Maggiore è stata restaurata nel XX secolo dopo i danni dei bombardamenti alleati del 1943-44, con la sostituzione della copertura in favore di un tetto a capriate, mentre per la ricostruzione del campanile bisognerà attendere il 2009. Infatti il Duomo nonostante le ruberie subite nei secoli, conserva uno straordinario patrimonio di arredi sacri, vero e proprio tesoro della chiesa, conservati, all’interno della cripta ottenuta dalla sua ristrutturazione settecentesca, grazie all’impegno del parroco don Domenico Grossi, allo scopo di salvaguardare, valorizzare e rendere maggiormente fruibile un patrimonio che prima si trovava sparso per le chiese marsicane ed era spesso oggetto di furto. Il Museo che si articola in tre sale: nella prima, la sala dei paramenti sacri, sono esposti un piviale in taffetas del Settecento, pianete ricamate con fili d’oro e d’argento risalenti al XVIII e al XIX secolo, una tonacella d’inizio Novecento con ricami in stile Liberty e sette sculture del XVIII secolo: 4 busti-reliquiari d’influenza napoletana, un reliquario del Santissimo Salvatore, una statua di San Nicola Greco e l’Immacolata concezione che schiaccia il demonio, rappresentato sotto forma di drago. La seconda sala è dedicata a uno dei protagonisti del Rinascimento abruzzese, Nicola da Guardiagrele e la sua opera suddivisa in tre periodi stilistici: il primo in cui spunti personali e innovativi si mescolano con la tradizione gotica, il secondo periodo coincidente con il viaggio fiorentino e un sostanziale cambio del linguaggio, influenzato dallo stile del Ghiberti, il terzo, in cui il raffinato ed elegante umanesimo di estrazione fiorentina è messo in crisi da una tensione espressionistica, influenzato sia da Raffaello, sia dal Gotico tedesco. Al centro della sala troneggia la Madonna dell’Aiuto, statua lignea dipinta e dorata risalente al XV secolo, tra le teche contenenti due pregevoli corali miniati trecenteschi, rubati anch’essi insieme alla croce e solo di recente tornati a far parte del patrimonio artistico cittadino. La terza sala, denominata Arte del XIV secolo, conserva un prezioso cofanetto del Trecento decorato con scene di corte e animali fantastici, la croce reliquiario di scuola umbra proveniente dalla chiesa di San Nicola Greco e una raccolta di ostensori, calici, turiboli e pissidi in argento di manifattura napoletana. Completa la collezione un braccio reliquario di scuola sulmonese, destinata ad ospitare le reliquie di San Nicola Greco, patrono guardiese.

Sotto l’orologio un’edicola accoglie una statua di San Giovanni Battista, riconducibile alla seconda metà del Quattrocento. La chiesa di San Rocco, anticamente intitolata a Sant’Antonio abate e dopo il terremoto del 1706, dedicata alla Madonna del Riparo e poi nel ‘900 a san Rocco, è parte integrante della collegiata di Santa Maria Maggiore, risaliva al XIII secolo ed era collegata alla cattedrale mediante un portico di via Cavalieri e all’ex cappella della Madonna del Riparo. Testimonianze dell’antichità della chiesa sono date anche da due altari laterali ad arco ogivale, con decorazioni in gotico radiale teutonico, altri frammenti di altare sono conservati nel museo civico. Restaurata profondamente a seguito degli interventi di sopraelevazione settecenteschi di Santa Maria Maggiore, quando la chiesa attigua fu sconsacrata e adibita a biblioteca comunale. Si articola in tre navate ed è arricchita da decorazioni barocche in stucco policromo. L’arredo è composto da un confessionale e un pulpito a cipolla dell’ebanista orsognese Modesto Salvini e alcuni dipinti di Nicola Ranieri, fra cui il medaglione/affresco della Madonna del Latte di un ignoto artista quattrocentesco, in fondo alla navata centrale che si trova un’edicola interamente decorata sotto una campata ricoperta da ricche decorazioni barocche in stucco.

Il campanile, parte sommitale della facciata centrale, terminava a torre, inizialmente ottagonale, forse un tamburo con una cupola a cuspide, seguendo le torri rinascimentali delle cattedrali di Chieti, Teramo e Atei, seguendo le ipotesi dello storico Lucio Taraborrelli. A causa dei danni del terremoto della Majella del 1706, il campanile fu rifatto a torre quadrata in pietra, visibile in alcune foto storiche. Nell’occupazione francese del 25 febbraio 1799 furono rotte le campane. Negli anni 30 fu demolito per pericoli statici dopo il terremoto della Majella del 1933. Nel 1943 un bombardamento aereo danneggiò la chiesa, il portico settentrionale, nel 1944 i tedeschi trafugarono le campane per trasformarle in pezzi di artiglieria. Le campane vennero rifuse, tuttavia il castello di ferro, sul tetto scoperto fu montato solo nel 2009. Inizialmente fu montato nei primi anni ’90, per ospitare una sola campana, benché il concerto fosse stato già fuso, in fotografie della seconda metà degli anni ’90, esisteva un concerto simile a quello attuale, ma poi per difetti di realizzazione del “castello”, le campane sono state parcheggiate sino al 2009 sopra il portico Nord. Il concerto è uno dei più grandi d’Abruzzo e possiede 9 campane a slancio che sono state fuse nel 1999 ed elettrificate nel 2009 dalla Fonderia Capanni di Castelnovo ne’ Monti (RE), che sostituiscono le vecchie campane ora conservate nella suddetta fonderia, poste a ottagono: 4 maggiori laterali, fiancheggiate da 4 piccole, e infine il campanone collocato al centro superiormente. Un altro piccolo campanile si trova all’inizio del portico di destra, costituito da una mezza torretta rettangolare in pietra, sopra cui si trova una campana che non viene suonata; rimasuglio dell’antica chiesa della Natività di Gesù.

Come detto, si trovano incastonati nella parete, lo stemma della città e gli emblemi delle maggiori famiglie gentilizie di Guardiagrele, qui murati nel 1884 per non disperderli, che valorizzano gli stemmi nobiliari, con una lapide creata appositamente nel 1881 che si trova sul fianco sinistro del Duomo, con il compito di conservare tutti gli stemmi nobiliari delle più influenti famiglie guardiesi vissute dal Medioevo al XIX secolo, stemmi rimossi solitamente dalle architravi dei portali dei palazzi, alcuni dei quali scomparsi che offrono una preziosa testimonianza per tracciare la storia della vita locale dal XII sino al tardo Ottocento. Vediamoli in rapida successione: gli Ugni nobili guardiesi che avevano i feudi nella parte nord-occidentale della montagna, da Caporosso a Caprafico e Palombaro, Caprafico e signori dell’omonima contrada. Avevano la loro residenza fortificata presso il castello di Caprafico, i Palearia e il castello di Pagliara situato sopra Isola del Gran Sasso d’Italia (TE). La famiglia fu in rapporti col Regno di Napoli, nel Catalogus baronum (1150-1168) risulta di che Oderisio di Collepietro possedeva il feudo di Palearia, nel 1248 Innocenzo III confermò a Gualtiero di Palearia, conte di Manoppello, il possesso dei beni avuti da Federico II. I Palearia ebbero rapporti con Guardiagrele e i Caprafico, e dopo la venuta di Napoleone Orsini, andarono in decadenza. Gli Orsini, con capostipite della famiglia tal Orso di Bobone nel XII secolo. Nel 1276 Tommasa figlia di Gualtieri di Palearia sposò Subiaco conte di Chieti, e la loro figlia Maria andò in moglie a Napoleone I Orsini, che entrò nei possedimenti di Manoppello, San Valentino, Guardiagrele, Casoli e Pagliaria. Gli Scioli, con lo stemma recante il nome di Giulio Scioli, capostipite del casata. I Carrara e di questa famiglia si ricorda Ardizzione, luogotenente del capitano Braccio da Montone, al servizio di Giovanna II d’Angiò; nel 1423 fu inviato in Abruzzo insieme a Niccolò Piccinino per preparare l’assedio de L’Aquila. I De Sorte e il loro stemma dal tronco d’albero con due grandi pomi cadenti dai rami. Non si sa molto della famiglia, sennonché il cognome ha dato lustro al personaggio teatrale Antonio De Sorte detto “Frappiglia”, maschera comica della commedia dell’arte abruzzese. I Farina, originari di Casalincontrada, uniti con i D’Alena, lo stemma è scudo d’azzurro al giglio di giardino al naturale, fiorito di sei pezzi, tre per parte, nodrito sulla vetta più alta fra le tre di un colle al naturale verdeggiante; detto giglio accostato di sei stelle a sei raggi d’oro ordinate in palo tre e tre nei fianchi dello scudo. I Vallereggia, originari di contrada Valle Regia dove avevano il castello, possiedono lo stemma con il cimiero di un cavaliere in cima, e lo scudo blasonato con nella parte superiore due corone di fiori, e in basso una solo. Gli Stella, originari di Villa Maiella-Colle Barone, si conserva della loro presenza il torrione posto su vis Occidentale, coevo di Torre Adriana. Lo scudo è tripartito orizzontalmente in cima da tre gigli, e negli altri riquadri da due, e da una stella. Gli Accursio, provenienti da un castello presso L’Aquila, lo stemma è inquartato nel 1 e nel 4 d’argento all’aquila spiegata di nero; nel 2 e nel 3 d’azzurro al leone d’oro rivoltato. I Passarotti che risultano al catasto onciario del 1753, dove si nomina tale Apostolico Passarottio Ferdinando, sposato con Anna Carmela De Lauro. Gli Elisii che apparirono nel catasto onciario del 1609 come “Lisii”, poi nel XVIII cambiato nell’attuale (1753). Lo stemma mostra un cipresso ornato in cima da tre stelle, e in basso da due boccioli che nascono dal terreno ha la cornice molto ben elaborata da motivi barocchi, che in basso ritraggono il volto di un uomo, con la barba che si fonde nei riccioli con la stessa cornice.

Fonti:

Foto by Abruzzomania

https://it.wikipedia.org/wiki/Collegiata_di_Santa_Maria_Maggiore_(Guardiagrele)

https://it.wikipedia.org/wiki/Guardiagrele

https://www.inabruzzo.it/guardiagrele-cattedrale-di-santa-maria-maggiore.html

https://ilcantooscuro.wordpress.com/2020/03/01/il-duomo-di-guardiagrele/

http://www.culturaitalia.it/opencms/museid/viewItem.jsp?id=oai%3Aculturaitalia.it:museiditalia-mus_9156

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