Continua il viaggio straordinario alla scoperta delle 305 Eccellenze dei 305 Comuni d’Abruzzo. Oggi Eccellenze d’Abruzzo presenta la sua 41° Eccellenza, una delle più importanti della regione, quella del comune di Francavilla al Mare, in provincia di Chieti, il famoso Cenacolo Michettiano. Ricordo che di eccellenze abruzzesi ne abbiam censite ben 305, una regina per ognuno dei 305 comuni della nostra regione, per cui ne mancano all’appello 264, tutte già selezionate! Ogni paese d’Abruzzo merita di partecipare a questo concorso di Eccellenze d’Abruzzo per mettere in mostra la sua eccellenza speciale ed avere il suo meritato riconoscimento.
Il Cenacolo Michettiano ebbe origine nel 1880 e si deve allo scrittore Mario Vecchioni il merito d’aver per primo, nel 1955, precisato come e quando Michetti, insieme con D’Annunzio, Tosti, Barbella e De Cecco, diede vita a questo famoso sodalizio che tanta importanza rivestì nella cultura abruzzese ed italiana di fine Ottocento. Il Vecchioni precisò che non vi è stato biografo di d’Annunzio che non sia incorso in errore circa gli artisti che diedero origine ed alimentarono il glorioso Cenacolo di Francavilla al Mare e conferma «Eppure lo stesso D’Annunzio ha immortalato la bella compagnia d’amici, che vissero nel culto dell’arte fra promesse e speranze di gloria, nella dedica a Idillii selvaggi compresi nella seconda edizione di Primo Vere (1880): a F. P. Tosti, a F. P. Michetti, a Costantino Barbella, a Paolo De Cecco – questi scialbi pitiambici – in ricambio – del XXVI ottobre, un poema!», in ricordo, cioè, del primo incontro francavillese. I fondatori del cenacolo pertanto furono: Francesco Paolo Michetti (1851-1929), Gabriele d’Annunzio (1863-1938), Paolo De Cecco (1843-1922), Francesco Paolo Tosti (1846-1916) e Costantino Barbella (1852-1925), mentre i più assidui ed importanti frequentatori furono Edoardo Scarfoglio (1860-1917), Matilde Serao (1856-1927), Guido Boggiani (1861-1901) e Alfonso Muzii (1856-1946).
” Il CENACOLO, un’avventura creativa che muove i suoi primi passi nel 1881 dal profondo legame umano e artistico tra Michetti, con scenari onirici e di realtà popolare come nel ‘Corpus Domini’, D’Annunzio ‘l’apprendista stregone’, il gioco di scambi, di effetti plastici, note, parole, linee, colore che trova nuovi complici nelle piccole statue in terracotta e bronzo di Barbella, fine disegnatore e nelle famose composizioni di Tosti, ha come filo conduttore il canto popolare. Dalle liriche di “Canto Novo” e “Terra Vergine” di D’Annunzio, alle canzoni abruzzesi trascritte per due voci e tradotte in italiano da Tosti; dalle popolane canterine ritratte da Michetti in ‘La canzone’ all’opera più nota di Barbella in terracotta, marmo e bronzo “Canto d’amore“. Nasce così, grazie al funambolico apporto di questi straordinari personaggi il Cenacolo che rappresentò nove anni di esaltazione e delirio artistico e culturale. Basti pensare che nel 1923, la nascita del Cenacolo a Francavilla, che con la pittura, la musica ed il disegno irradiò tanta luce d’arte, indusse Giovanni Papini e Domenico Giuliotti nel 1923 a scrivere nel loro Dizionario dell’Omo Salvatico, che a causa di quella leggendaria brigata e di questo straordinario fenomeno culturale: “In quegli anni l’Italia correva il rischio di diventare abruzzese”.
Ma cosa fu e cosa è ancor oggi il Cenacolo Michettiano? “Negli anni ottanta del 1800 un poeta, un pittore, un musicista e uno scultore legati tra loro da una “comunione intima innegabile” vissero nell’antico convento francescano di Santa Maria del Gesù a Francavilla al Mare che dalla sommità di una collina domina l’Adriatico, durante i periodi estivi, per lavorare e scambiarsi idee, tecniche e segreti del mestiere, un’esperienza che rimane unica nella storia dell’arte italiana moderna, quella del Cenacolo artistico, sodalizio nel quale scambiarsi idee, esperienze, tecniche dei loro “mestieri”. Fu il sogno del Maestro, realizzare “una grande, immensa Arte fatta di tutte le arti”. Il Cenacolo fu un fenomeno culturale assai raro, se non unico, nella storia dell’arte italiana moderna. Le opere che si creavano avevano un tema comune: la natura e la gente d’Abruzzo e spesso gli stessi soggetti passavano dai dipinti alle sculture, alle note ai versi, a formare un unico grandioso poema. Ogni creazione nata nel convento era animata e fecondata da un sogno splendido e impossibile che collegava il piccolo gruppo di artisti abruzzesi alla temperie artistica d’oltralpe, un sogno che in un certo senso è rimasto sino ad oggi il loro segreto.”
“Ma cosa spinse gli artisti di Francavilla a infrangere gli stretti canoni del verismo partenopeo a cui appartenevano ed a lavorare in sintonia creando una speciale osmosi tra i diversi campi dell’arte? Questo sogno veniva da lontano ed aveva preso forma nel Gesamtknstwerk (opera d’arte totale) di Wagner, con la passione per il grande compositore tedesco, le sue teorie, per la melopea (composizione melodica di ritmo lento spesso ispirata a motivi liturgici del sec. XVIII) e il Wort-Ton-Drama (la concezione wagneriana del dramma musicale) che avevano contagiato mezza Europa e invaso Parigi.” Sull’origine culturale e artistica del sodalizio che spinse i quattro artisti a sperimentare una “grande immensa Arte fatta di tutte le arti” si è molto dibattuto.” La Sorge ritiene che molto probabilmente, come suddetto, gli artisti abruzzesi furono contagiati dalle nuove teorie discendenti dal “sogno wagneriano” che mirava ad abbattere le barriere tra le arti, per lanciare una nuova sfida: quella di arricchire di nuove suggestioni la descrizione artistica della terra e della gente d’Abruzzo sotto la guida geniale del Maestro che più di ogni altri intercettò le tecniche del futuro: Francesco Paolo Michetti <innamorato dell’avvenire dell’arte>.”
Wagner
“I componenti del cenacolo cercarono di realizzare una vera e propria “compenetrazione” di espressioni artistiche diverse. Le pitture, le sculture, i versi e le note dei 4 moschettieri (chiamati dalla Sorge i quattro “grandi del gruppo francavillese “ così definiti non per la loro fama, che un secolo fa raggiunse livelli oggi difficilmente immaginabili, bensì per il fatto che solo loro, tra tutti i componenti del cenacolo, cercarono di attuare una compenetrazione di espressioni artistiche diverse), in cerca del Bello e del Nuovo, che restano a testimonianza di una simbiosi spirituale senza precedenti: <una felice copia d’ingegno sparsa nelle tele, nella creta, nelle note>. Il Verbo Dipinto: celebre dipinto di Michetti assume il ruolo di manifesto fatto non di parole ma di immagini, diventando canone e guida per gli artisti del cenacolo e D’Annunzio è abbagliato e fecondato da questa scena e lo definisce il Verbo dipinto che raffigura la facciata del Duomo di Chieti e la fantasmagoria della processione, l’arte nuova nasce qui, dal ritmo della vita stessa del popolo abruzzese. <Fu un sodalizio straordinario che legò per circa un decennio quattro grandi artisti abruzzesi: Gabriele D’Annunzio, Francesco Paolo Michetti, Francesco Paolo Tosti, Costantino Barbella che diedero vita ad una sorta di “officina dal sapore di nuovo>, officina dalla quale uscirono “opere grandiose ma anche semplici e timide “prove d’autore che avevano un tema comune, quello della natura e della gente d’Abruzzo” … i cui soggetti passavano dai dipinti alle sculture, alle note, ai versi a formare un unico grandioso poema”.
“Nel chiostro acquistato da Michetti nel 1883 i “quattro moschettieri”, furono accompagnati da importanti personaggi della scena culturale del tempo assidui frequentatori del cenobio come Edoardo Scarfoglio, Matilde Serao, il pittore Alfonso Muzii, il poeta Carmelo Errico, i musicisti Paolo De Cecco e Vittorio Pepe, l’etnologo Guido Baggiani. Quindi l’epopea del Cenacolo fu qualcosa che andò oltre l’essere stato uno straordinario fenomeno artistico e culturale, ma rappresentò un modello sociale, ancor oggi inimitabile, un cambio di passo che si percepisce forse ancora meglio leggendo cosa scriveva Nino Costa (il maggior denigratore all’epoca del Michetti) sulla personalità michettiana: “Quest’artista ha la più cara, la più bella organizzazione artistica e insieme la più corrotta. Egli è proprio avido e malizioso … pare che dica al grosso pubblico italiano: < Tu non ne vuoi sapere d’arte, ma io ti voglio afferrare per forza per mostrarti la mia abilità>”, cambio di passo che Michetti, ideologo del Cenacolo intendeva dare non solo a chi lo circondava, non solo agli artisti del cenobio, non solo a Francavilla, non solo all’Abruzzo, ma all’Italia intera.
Nel cenobio, Michetti disegnava le sue famose pastorelle, D’Annunzio scriveva articoli mondani, Tosti cantava le sue melodie, Barbella modellava statue, De Cecco, disegnava e allietava gli amici suonando il mandolino. Fu, quindi, una sorta di officina dove si tentò di realizzare, anche se in modo sperimentale, il sogno di abbattere le barriere tra un’arte e l’altra, di creare un sistema di interferenze fra pittura, scultura, musica e versi. Tutti gli artisti lavorarono in sintonia sotto la guida di Michetti e influenzati, come il resto dell’Europa, dal sogno di una grande immensa Arte fatta di tutte le arti. A questa operosità artistica faceva riscontro lo sviluppo turistico di Francavilla. La città non era mai stata avara di nomi illustri nel campo delle lettere, delle leggi, delle scienze e delle arti, ma in quegli anni costituì un vero e proprio polo di attrazione per quanti, pur provenendo da centri più evoluti di Francavilla per trascorrere le vacanze estive, trovavano qui l’occasione di un soggiorno culturalmente qualificato.
Ma chi fu Michetti? “Padrone di casa del cenobio, nacque a Tocco Casauria nel 1851, studiò all’Accademia delle belle Arti di Napoli città in cui presentò il suo primo dipinto di grandi dimensioni nel 1877: “La processione del Corpus Domini”. Una delle sue opere più importanti , il Voto gli era invece stata ispirata dalla partecipazione ricca di fede e ardore religioso dei pellegrini alle celebrazioni della festa di San Pantaleone nell’omonimo Santuario di Miglianico. Nel 1883 si trasferì a Francavilla nel Convento adattato ad abitazione, alternando però, negli anni della sua più intensa attività pittorica, lunghi soggiorni a Napoli. Dipinse dal 1884 al 1896 più di trenta tele di grande pregio, tra le quali “La Figlia di Iorio” che, presentata a Venezia alla Biennale, fu acquistata da un berlinese divenendo proprietà della Galleria Nazionale d’Arte di Berlino ed oggi esposta presso il palazzo della Provincia di Pescara. Dalla fine del secolo si dedicò prevalentemente alla fotografia e, nonostante i riconoscimenti ufficiali, fu nominato senatore dal re Vittorio Emanuele III. Trascorse in completo ritiro l’ultimo periodo della sua vita e morì nel 1929 nella sua casa di Francavilla.“
E la sua decisione di vivere a Francavilla? “… frattanto Michetti lasciò improvvisamente Napoli e piantò le tende a Francavilla al Mare e nel 1932, il pittore abruzzese Italo De Sanctis, riferendosi alla decisione di Michetti di vivere a Francavilla così scriverà: <Gli era piaciuta quella campagna placida, tutta fresca di orti e di frutteti. Con pochi soldi si sbarcava il lunario, in una solitudine un po’ selvaggia. La gente era buona e il vino era come la gente. Le donne, belle, erette, flessuose, andavano in camicia bianca e gonnelle succinte, mostrando senza alcuna malizia i seni turgidi e le braccia tornite. Gli uomini erano gravi e come monumenti. Vi chiamò amici e colleghi, che accorsero entusiasti e formarono il Cenacolo che diede all’Italia la poesia più alta, la pittura più veemente, la canzone più accorata. Francavilla era un luogo ideale per la loro vita capricciosa; ed essi vi vissero nella piena grazia del Signore, della gioia di creare, della febbre del lavoro, dell’ebrietà dei canti, dei rapimenti dell’amore. Tempi del buon umore, della gioia totale! Le albe si seguivano rosee nell’oblio delle stagioni, e un incantesimo sonoro era nell’estasi della luce, una fragranza di spiganardo nell’aria. Giovani, liberi e scapigliati, non soffrivano stanchezza. A giornate di alacre e fecondo lavoro seguivano notti di deliranti gaudii, al chiaro di luna. Persino delle vaghissime amazzoni scendevano da Chieti alla marina per rendere per rendere più fiabesca la loro vita, in quel >.”
“Michetti fu l’innamorato dell’avvenire dell’arte e per tutti è il Maestro o Mastro e fu considerato dagli abitanti di Francavilla una sorta di mago, che arrivarono ad attribuirgli poteri occulti e capacità ultraterrene. Con le sue scene di vita abruzzese, rese vive dalle vibrazioni luministiche e dalle tensioni cromatiche, sempre oscillanti tra realtà e sogno, superano gli angusti confini del verismo elevando l’Abruzzo a un luogo dello spirito. Partìto per Napoli, come borsista, a studiare pittura, incomincia così la simbiosi meravigliosa dell’uomo con l’arte. Numerosi sono gli aneddoti fioriti intorno al primo contatto di Michetti fanciullo con l’ambiente accademico napoletano, dove nessuno riusciva a capacitarsi come uno “scugnizzo” dall’aspetto selvatico e rozzo, brusco nel tratto, trasandato nella persona, potesse ottenere, al suo primo contatto con l’arte, risultati tanto artisticamente validi, a volte superiori a quelli di altri che già da tempo frequentavano l’Accademia con assiduità e ciò prescindendo dall’insegnamento della scuola, seguendo soltanto la sua disposizione naturale. Si sono visti di lui dei quadri largamente dipinti, di una freschezza e di una verità di colore ammirabili, pieni di finezza e di grazie nella forma … Con che diritti costui fa bene senza stentare e senza aver sofferto nulla? Per Michetti il bello era un’eco raccolta nel cuore, il vero visto nell’estasi, un sogno ad occhi aperti. La sua formula definitiva sarà: “Sognare davanti al vero”.”
“La sede del Cenacolo, fu il convento, poi chiamato “Conventino”, sede di un vero e proprio cenacolo artistico dove ancor oggi aleggia un’aria di mistero nel suo chiostro e nei corridoi, con le sue mura vetuste che racchiudono segreti e magie non ancora del tutto svelati. Tra il 1860 e il 1864 i Conventi furono soppressi e diventarono demanio del Comune. Nel 1885 Michetti, che era domiciliato a Francavilla e consigliere comunale, ebbe modo così di acquistare il Convento Francescano di Santa Maria del Gesù poco lontano daPorta Ripa. Dalla vendita era esclusa la chiesa attigua al fabbricato con le due sacrestie e il campanile dalla forma orientaleggiante; l’acquirente inoltre era obbligato ad impiantare ed avviare entro un anno, nel locale del Convento, una fabbrica di ceramica o altro stabilimento industriale, che potesse “arrecar vantaggio alla popolazione” del comune. Egli pertanto costruì il forno per le ceramiche e sistemò l’ambiente sovrastante il portico eliminando la preesistente suddivisione in stanze e in seguito realizzò l’apertura delle prospettive ottiche sul mare e sulla campagna attraverso caratteristici oblò, il cui motivo fu ripreso dall’architettura dello studio a mare, progettato dallo stesso Michetti. Ovunque fece dipingere le pareti a bianco di calce e le lasciò libere dai quadri. Pure a Michetti si deve l’inserimento di una bifora romanica in pietra riccamente decorata proveniente da Palazzo Tinozzi a Francavilla. Alla morte del pittore, nel 1929, il “Conventino”, divenne proprietà della moglie Annunziata e dei figli Giorgio , Alessandro e Aurelia, madre dell’attuale proprietario il barone Ricci. Il 31 luglio 1938 il re Vittorio Emanuele III inaugurò il monumento a Michetti dello scultore Nicola D’Antino, nel piazzale antistante il portico e nel 1939 dichiarò il “Conventino” monumento nazionale.”
“Attualmente in esso non vi sono i quadri del pittore, i quali si trovano tutti a Roma al Museo di Arte Moderna o a Francavilla al Mare al MUMI: Museo Michetti costruito dagli architetti Ricci e Spaini proprio per ospitare le sue opere, situato nell’ex convento di San Domenico, il vecchio Palazzo Comunale costruito nel XIII secolo, con ampi rifacimenti nel XVIII secolo e nel secondo dopoguerra, è diviso in due nuclei espositivi, nel cui secondo piano dell’edificio, destinato alle mostre temporanee, ospita le due grandi tele di Michetti: “ Le Serpi” e “ Gli Storpi”.”
MA QUALE ERA L’ATMOSFERA DEL CENACOLO MICHETTIANO ? <Un vivido documento che descrive luoghi e personaggi del cenacolo michettiano è la lettera da Francavilla al Mare del 27 luglio 1884 di Matilde Serao in cui la scrittrice descrive le sue giornate, la gioia di avere e le conversazioni con gli artisti: “Sono qui, innanzi al grande e triste mare Adriatico, in una casa di contadini, tutta pittata a bianco, con pochissimi mobili immersa nel verde di una dolcissima collina. Qui è una pace profonda, un grande silenzio che solo la voce del mare interrompe. A trenta passi di qui, in una bizzarra casa, tutta segreti e finestroni bislunghi e porte rotonde, fra un’aquila, tre cani, cinque serpenti, Ciccillo Michetti dipinge e Costantino Barbella fa le statue… vi sono Donna Maria e Gabriele D’Annunzio la poesia. Verrà Ciccillo Tosti, in settembre, e la colonia artistica che lavora, contempla il mare, s’immerge nella freschezza delle notti meridionali sarà completa … Mi levo alle otto del mattino, faccio il bagno, in una spiaggia diritta, larga, di una grandiosità che impone… un ritorno a casa, scrivo sino alle undici. …. Poi la colazione e un’ora di contemplazione della campagna e dopo la lettura e scrittura sino alle sei; un po’ di conversazione con questi artisti e poi il pranzo. Dopo, una lunga passeggiata sulla riva del mare, solitaria, nella notte, una poesia. Al ritorno, lavoro sino a mezzanotte. E tutto questo in una grande pace marina e campestre, che tre volte il giorno, due volte la notte il treno attraversa. Non potevo scegliere meglio l’ambiente, per poter lavorare…Come si lavora bene, qui. Arrivano tutti i libri, tutti i giornali…io rimango qui sino a metà ottobre , tanto è bello il paese. Donna Maria D’Annunzio risaluta cordialmente: quanto è carina e amabile, questa giovanetta, che in campagna ha addirittura un’aria infantile …”>
Lo scrittore Primo Levi, anch’egli frequentatore del Cenacolo, scrisse nel 1882 nel famoso libro “Abruzzo forte e gentile“: «Già da tempo […] nel 1880 […] convenne […] un’eletta schiera di artisti sommi, nel casone strano di Michetti, in riva al mare, da Edoardo Scarfoglio, a Francesco Paolo Tosti, da Gabriele d’Annunzio a Guido Boggiani, da Matilde Serao a Costantino Barbella. Ha vita il Cenacolo degli Artisti, denominazione rimasta allo studio di Michetti».
Gabriele D’Annunzio assiduo frequentatore di Francavilla “..dal gentil profilo, intarsiata sul fondo azzurro del cielo”, fa assurgere la cittadina a luogo di elezione del cenacolo di questi artisti uniti nel nome della ricerca di un’ideale di bellezza. Qui il poeta giunse nel 1880 e così descriveva all’amico Nencioni quel momento. “Giunsi a casa ai primi di luglio dal ‘Cicognini’ un po’ sciupato…trovai nel Michetti un amico amoroso che mi rialzò, mi distrasse, mi comunicò un po’ della sua fede e del suo foco sacro”. Da allora soprattutto nei periodi estivi prese a riunirsi con i suoi amici al Convento che definiva il suo “Romitaggio”. Quando era ispirato veniva murato nella sua stanza al secondo piano (ancora visibile) e quando finiva di scrivere, gli amici suonavano le campane dell’annesso campanile. Qui tra luglio e dicembre 1888 fu scritto “Il Piacere“; tra aprile e luglio del 1891 fu composto “L’innocente”. Anche buona parte del “Trionfo della morte” fu ideato al Convento. Al suo interno la vita era una vera e propria vita in comune e D’Annunzio così la descriveva: “Si viveva così obliosamente. La sera, mentre il plenilunio ottobrale saliva alla marina, i nostri cuori risuonavano nella tranquillità degli oliveti, sotto l‘incerto biancicare argentino dei rami … Di tratto in tratto Messere il Vento veniva a strimpellare questo vecchio colascione che è il convento“. Il poeta ricorda anche la presenza di Nunziata, moglie di Michetti che, non senza la collaborazione degli amici del Cenacolo, si prodigava per preparare i pasti. Il Vate qui veniva per i bagni con l’amico Michetti, ma anche per le ore liete con Barbara Leoni e per perdersi nella malinconia e nella solitudine o per meditare sulle sue opere. “Quanti sogni sull’arena ardente! Il mare tutto verde e luccicante e ondeggiante come un drappo di seta antica, giungeva ai miei piedi; le barche parevano immobili in lontananza; il vento portava il profumo dei limoni.”…Oh i bei giorni di Francavilla, quando il culto dell’arte ci univa. Quella povera casa solitaria, in mezzo all’immensità dei litorali, era il nostro tempio: per le stanze un grande alito di salsedine spirava. … Oh i bei giorni di Francavilla! Che sciupio felice di giovinezza, di forze, di amori, di sangue, di vino!”
Francesco Paolo Tosti in quel periodo trionfa a Londra alla corte della regina Vittoria con le sue romanze, pubblicate da Ricordi, che rivoluzionano il mondo musicale della fine del secolo. “spopolano e la sua Immensa popolarità paragonabile forse solo a quella odierna dei Beatles aduna intorno alla sua figura un alone leggendario” … con le sue melodie con la sua stessa personalità gioiosa e estroversa, con i suoi trionfali successi, il musicista contribuisce notevolmente a quella esaltazione che sconvolge e quasi travolge il poeta quando entra in contatto con Michetti e gli artisti del cenacolo”. (Paola Sorge in “Sogno di una sera d’estate”). A Francavilla nel 1880 compone “Canzone” dai versi semplici , la prima di una lunga serie di romanze su testi di D’Annunzio, la più famosa delle quali è sicuramente “’A Vucchella”. Le romanze composte da Tosti insieme a D’Annunzio “sono piene di malinconia… di eros e thanatos e di squisite fattura” come le liriche che compongono il poemetto intitolato Malinconia del 1883. Versi traboccanti d’amore e di languore per le dolci melodie tostiane, nati nelle calde notti estive a Francavilla. Così il Vate rievoca la magia di quei giorni:“… Paolo Tosti, quando era in vena, faceva musica per ore ed ore, senza stancarsi, obliandosi d’innanzi al pianoforte, talvolta improvvisando, con una foga e una felicità d’inspirazioni veramente singolare. Noi eravamo distesi o sul divano o per terra, presi da quella specie di ebrietà spirituale che dà la musica in un luogo raccolto e quieto. Ascoltavamo in silenzio, a lungo, chiudendo gli occhi per seguire meglio un sogno …La musica ci aveva chiusi in un circolo magico. Dopo due mesi di quella consuetudine, le nostre sensazioni s’erano così affinate che ogni urto della vita esteriore ci affliggeva e ci turbava.”
“Un percorso che raggiungerà i suoi frutti più alti proprio negli anni in cui la compattezza del cenacolo comincia a sfaldarsi, probabilmente schiacciata dalla crescente fama degli artisti. Con ‘La figlia di Iorio’, specchio dell’anima della terra d’Abruzzo raccontata prima nel poema pittorico di Michetti, esposto nella versione definitiva nel 1895 e poi nella tragedia dannunziana terminata nel 1903, i due maggiori artisti raggiungono le massime vette dell’arte. Ma anche Tosti, che vive a Londra una vita brillante alla corte della regina Vittoria e scrive romanze malinconiche riecheggianti i canti popolari della sua terra ha sempre meno tempo per gli amici di Francavilla, pure Barbella lascia ormai poco spazio al sogno, partecipando con i suoi lavori in bronzo e terracotta a quasi tutte le esposizioni sia in Italia che all’estero.
L’attività del Cenacolo ebbe una vita intensa ma breve; terminò, infatti, nel 1889, anno in cui si sposarono Costantino Barbella e Carmelo Errico. Del resto dei cinque fondatori del Cenacolo, D’Annunzio si era sposato nel 1883, Paolo De Cecco nel 1884, Michetti e Tosti nel 1888. Che ufficialmente il Cenacolo michettiano sia cessato nel 1889 ne abbiamo dimostrazione nell’estate di quell’anno in quanto Michetti, invece di invitare D’Annunzio al convento come aveva fatto l’anno precedente, gli trovò L’Eremo di San Vito per trascorrere l’estate insieme con Barbara Leoni.
Si concluse così, alla fine degli anni ottanta, un sodalizio straordinario fenomeno assai raro, se non unico nella storia dell’arte che, sulle ali di un sogno wagneriano, cercò di realizzare una compenetrazione di espressioni artistiche e creare una simbiosi spirituale senza precedenti.
Fonti:
- Sogno di una sera d’estate di Paola Sorge
- Francesco Paolo Michetti di Franco Di Tizio
- D’Annunzio e il Cenacolo michettiano”di Ianieri editore