Eccellenza d’Abruzzo n. 40 – Lucoli (AQ): Abbazia di San Giovanni Battista

Continua il viaggio straordinario alla scoperta delle 305 Eccellenze dei 305 Comuni d’Abruzzo.  Oggi Eccellenze d’Abruzzo presenta la sua 40° Eccellenza, quella del comune di Lucoli, in provincia di L’Aquila, l’Abbazia di San Giovanni Battista e ricordo che di queste ultime ne abbiam censite ben 305, una regina per ognuno dei 305 comuni della nostra regione e mancano all’appello 265 Eccellenze, tutte già selezionate! Ogni paese d’Abruzzo merita di partecipare a questo concorso di Eccellenze d’Abruzzo per mettere in mostra la sua eccellenza speciale ed avere il suo meritato riconoscimento.

L’abbazia di San Giovanni Battista si trova a circa 1000 metri s.l.m., in posizione dominante la stretta valle dove sono dislocate le diciassette frazioni che compongono il comune di Lucoli ed è senza dubbio il fiore all’occhiello dell’importante patrimonio artistico-culturale del comune di Lucoli in provincia dell’Aquila,  Il complesso di San Giovanni Battista per le sue peculiarità architettoniche, le valenze artistiche e l’interessante lavoro di restauro a cui è stato sottoposto lo pongono dal 1902 come uno dei monumenti più importanti in campo nazionale.

Anche se le sue origini risalgono al 1077 sarebbe più corretto affermare che questo ex monastero venne fondato, o meglio, rifondato nel 1077, quindi si può affermare che il monastero benedettino venne fondato prima dell’XI secolo anche se non se ne conosce con precisione la data. L’ipotesi di una rifondazione, anziché una fondazione ex novo, troverebbe sostegno nella presenza dell’abate Pietro e di una già costituita comunità monastica nell’atto di donazione e nel fatto che il toponimo originario risultante dalla prima fonte finora nota, la donazione del 1077 del conte Oderisio dei Marsi (di nazione franca, figlio del conte Berardo, appartenente ad un ramo della famiglia dei conti dei Marsi) di tutti i suoi possedimenti di terre per mille moggi, case, vigne, un territorio molto ampio corrispondente in gran parte all’attuale comune di Lucoli, compresi nel Castello di Colomonte (odierna Collimento) all’allora abate Pietro, era San Giovanni in Ranfonessa, ed indicava un insediamento monastico già esistente ma molto piccolo.

Con questo atto, che comprendeva anche una serie di coloni già residenti sui terreni coltivati donati al Monastero, il Conte Odorisio lo rese pertanto indipendente da qualsiasi autorità laica ed ecclesiastica, anche se la pone sotto il controllo diretto della Santa Sede, sottraendola ad ogni giurisdizione locale impegnando se stesso ed i suoi eredi alla sua difesa militare, pertanto non soggetta al locale vescovo con piena giurisdizione sul territorio assegnatole, cosa che la trasformò in un’abbazia nullius. Tra le motivazioni che spinsero il conte Oderisio, che risiedeva nel castello di Collimento, alla donazione di beni c’era l’intenzione di porre al riparo il proprio potere locale dai rischi di un’occupazione normanna, che in quegli anni iniziava i primi tentativi di invasione, mediante la fondazione di un monastero privato. Le motivazioni politiche prevalsero su quelle religiose, pur non essendo ovviamente esplicitate nel documento di donazione che fa invece riferimento, come d’uso all’epoca, solo all’amore di Dio e alla salvezza dell’anima propria e dei congiunti.

Il primo abate fu Pietro, al quale successe Lucolano, sotto la cui guida il monastero ebbe ospite San Franco di Roio. Nel 1291 fu eletto abate Pietro Matthei che presto, però rinunciò all’incarico per l’impossibilità di governare la vita cenobitica secondo i dettami della Regola, a causa della scarsa disciplina dei monaci. Per questo motivo, con la bolla “Meditatio cordis nostri del 27 settembre 1294, papa Celestino V unì questo monastero a quello di Santo Spirito di Sulmona dei monaci Celestini. Nel 1318 l’Abbazia tornò, però ad essere autonoma e venne eletto come abate Angelo. La vita monastica si svolse con alterne vicende che videro l’abbazia attraversare momenti di difficoltà, ma anche assurgere ad una notevole importanza economica e politica.

La vita cenobitica vi ebbe luogo fino al 1456, anno in cui morì l’ultimo abate regolare eletto dai monaci e successivamente il monastero venne poi soppresso nel 1461 da papa Callisto III ed iniziò un periodo di decadimento che culminò nel 1754 con la decisione di papa Benedetto XIV di porre l’abbazia sotto la giurisdizione della diocesi dell’Aquila. La reazione negativa della popolazione spinse Ferdinando I delle Due Sicilie a dichiarare nel 1793 l’abbazia di regio patronato, con il potere di eleggere l’abate commendatario. Questa situazione durò fino 1869, quando i parroci di San Giovanni Battista che conservano tuttora il titolo onorifico di “abate”, tornarono ad essere nominati dal vescovo. A seguito del terremoto dell’Aquila del 1703 l’interno dell’abbazia fu trasformato in stile barocco, ma dopo un primo restauro nel 1835 ed uno più recente nel 1994, la basilica è tornata al suo originario splendore. Di particolare importanza risultano essere gli affreschi rinvenuti proprio con l’ultimo restauro, attribuiti al De Litio raffiguranti San Lorenzo e San Giorgio , il chiostro e il porticato. All’interno dell’abbazia si può ammirare anche l’organo del Farina (1500), ritenuto essere il più antico d’Abruzzo.

La facciata della chiesa è composta è da un porticato a tre archi, con quelli laterali a sesto acuto. All’interno del porticato si trova la porta di accesso al chiostro del convento, posto sulla destra della chiesa. Sulla sinistra della facciata si trova il pregevole campanile dei primi del 500, collegato alla chiesa da un passaggio attraverso la canonica. L’interno della chiesa è a tre navate suddivise da pilastri ottagonali che sorreggono archi a tutto sesto. La copertura attuale è in soffitto ligneo cassettonato, che ha sostituito la volta a botte introdotta con la trasformazione in barocco dopo il terremoto dell’Aquila del 1703, riportato poi allo stato originario dal restauro del 1994. L’altare maggiore, opera di Bernardo Ferradini, il cui paliotto della Madonna del Rosario, finemente intarsiato, è costituito da disegni policromi raffinati e di grande valore espressivo, è separato dalla navata centrale da una balaustra in marmi bicolori, opera di Giuliano e Pietro Pedetti. Degno di nota l’organo cinquecentesco che si trova sulla parete d’ingresso della navata centrale è opera di Giovanni Farina da Guardiagrele, del quale però rimane solo la cassa.

FONTI

Foto by Abruzzomania

http://www.abbaziaeparrocchiedilucoli.it/i

https://web.archive.org/web/20160818142044/http://conoscere.abruzzoturismo.it

https://web.archive.org/web/20160827023932/http://proloco.lucoli.it/informazioni-sull-abbazia-di-san.-giovanni-battista-.html

https://it.wikipedia.org/wiki/Abbazia_di_San_Giovanni_Battista

 

 

La Via Lattea d’Abruzzo (n°4): Caciofiore Aquilano

La Strada dei Formaggi d’Abruzzo: Caciofiore aquilano PAT

(vedi Intro)

Quel ramo del lago di Campotosto, che volge a mezzogiorno, tra due catene non interrotte di monti (il Gran Sasso e i Monti della Laga), tutto a seni e a golfi, a seconda dello sporgere e del rientrare di quelli, vien, quasi a un tratto, a ristringersi, e a prender corso e figura di fiume, l’Aterno…

Scorcio del Lago di Campotosto (foto by David Giovannoli)

Comincia proprio in questo modo il nostro viaggio attraverso la Via Lattea d’Abruzzo alla scoperta della nostra quarta stella, che questa volta ci ha condotto nell’Alta Valle dell’Aterno sulle rive dell’incantevole Lago di Campotosto: il Caciofiore aquilano PAT. E, proprio come nel romanzo dei “Promessi Sposi“, che dopo lunghe peripezie si conclude con un matrimonio, anche questa storia si conclude con un sodalizio, stavolta non di Renzo e Lucia, quello tra il Cacio di pecora e il Fiore di carciofo selvatico (Carlina acaulis).

(foto by David Giovannoli)

 

Carlina Acaulis (foto by www.actaplantarum.org)

Immersi in un ambiente di surreale bellezza, siamo stati ospitati dall’azienda agricola “La Mascionara“, artigiani di salumi e prodotti caseari di straordinaria fattura, in una piccola bottega, dall’apparenza innocua, ma che al suo interno avrebbe rivelato l’incredibile. Così come tutto ciò che si incontra nell’Alta Valle Aterno, scrigno di inaspettati tesori. Lo stesso effetto che ci ha rivelato il Lago di Campotosto, un luogo quasi anonimo ma di incredibile suggestione. Non a caso, così come ci racconta una simpaticissima anziana signora proprietaria di un bar del posto, il lago sta diventando una meta che attrae fotografi da tutto il mondo, grazie a suoi splendidi scenari durante l’inverno e per l’effetto, quando diventa totalmente ghiacciato, del “Total White“.

Quando si entra nella bottega de “La Mascionara” non si può fare a meno che assistere ad un trionfo di opere d’arte culinarie, alcune che pendono dalla soffitta, altre esposte dietro il bancone, quasi fosse un forziere, a proteggere i tesori che vi sono esposti.  Opere dell’ingegno umano nati dalla semplicità delle popolazioni che vi abitavano, divenuti il tramite per gustarsi un momento di “paradiso” in una vita di stento e sacrifici.

Ci viene spiegato che il Caciofiore aquilano è uno dei primi formaggi completamente vegetali, che non prevede l’utilizzo di derivati animali salvo, ovviamente, il latte. Nato quando la parola “vegetariano” non era ancora stata coniata, menzionato fin dai tempi dei romani, è stato creato dai pastori del luogo che, invece del tradizionale caglio animale, per coagulare il latte munto dalle loro pecore utilizzarono il caglio prodotto dall’essiccamento del fiore di una pianta spontanea che fiorisce sui pascoli d’altura, il carciofo selvatico o cardo d’argento. Con calma proviamo questo formaggio così speciale, gelosamente custodito e avvolto da erbe selvatiche che lo proteggono e che ci fanno quasi dispiacere di doverlo aprire.

(foto by David Giovannoli)

Si presenta con varie tonalità di colore bianco, dal delicato all’intenso, dal chiaro allo scuro, a partire dalla sua crosta fino ad arrivare al suo interno. E’ un formaggio non molto stagionato, la sua pasta è molto cremosa, il suo gusto ha un sapore delicato ma che, quasi educatamente, riesce a travolgere chi decide di assaggiarlo. Si riesce a percepire la freschezza e la purezza dell’aria dei monti che la circondano, insieme al candido manto delle nevi che li ricoprono, quasi come se ci si immergesse in un viaggio nel “Total White“, simile a quello ammirato dal Lago di Campotosto ma che questa volta, oltre che con gli occhi, può essere effettuato anche con il gusto e con l’olfatto. Noi abbiamo rilevato, inoltre, anche un’impercettibile nota amara, ma delicata, di carciofo, forse perché semplicemente influenzati dal nome di questo formaggio, ma che assolutamente non ci dispiace immaginare mentre lo assaporiamo.

(foto by David Giovannoli)

Un’opera d’arte culinaria che rischiava di estinguersi se non fosse stato per un intervento “provvidenziale” e la pervicacia,  così come quella di fra Cristoforo nei “Promessi Sposi“, di alcuni pastori che continuarono a produrlo e permisero la sua continuazione fino ad oggi. Fortunatamente, anche questa una storia a lieto fine! 

Scopri le Stelle della Via Lattea d’Abruzzo: 1. Pecorino di Farindola2. Canestrato di Castel del Monte, 3. Cacio Marcetto di Castel del Monte, 4. Caciofiore aquilano