Eccellenze d’Abruzzo oggi incorona regina d’Abruzzo Caporciano e la sua eccellenza, l’Oratorio di San Pellegrino di Bominaco … e ricordo che di eccellenze abruzzesi ne abbiam censite ben 305, una regina per ognuno dei 305 comuni della nostra regione e mancano all’appello 273 Eccellenze, tutte già selezionate! Ogni paese d’Abruzzo, anche il più piccolo, merita di partecipare a questo concorso di Eccellenze d’Abruzzo per mettere in mostra la sua eccellenza speciale ed avere il suo meritato riconoscimento!
Chiedo scusa per la lunghezza, ma una delle più importanti meraviglie d’Abruzzo non meritava di essere descritta in poche righe!
L’Oratorio di San Pellegrino, dichiarato nel 1902 monumento nazionale, e considerato uno dei capolavori dell’Abruzzo romanico-gotico, si trova nello splendido borgo medievale di Bominaco del comune di Caporciano, in località Mamenacus (antico nome di Bominaco) in provincia dell’Aquila, ed è dedicato a San Pellegrino, monaco e martire Cristiano che, intorno al IV secolo, venne dalla Siria in queste zone dove era venerato e trovò la morte e sulla cui tomba venne costruita questa chiesa intorno all’VIII secolo, in seguito appartenuta ad un complesso monastico benedettino del quale fa parte la vicina chiesa di Santa Maria Assunta.
Definito a ragione, la “Cappella Sistina d’Abruzzo”, meraviglioso gioiello ed esempio di arte romanica, è la più grande testimonianza ed uno dei tesori più straordinari di pittura medioevale abruzzese. E’ chiamato anche la “Cappella degli Scrovegni di campagna”, perché chi varca la soglia del piccolo edificio può solo restare incantato dinanzi alla ricchezza della decorazione, della luce emanata dalle singole scene che si susseguono in un disordine solo apparente ed anche “la Bibbia dei poveri” perché gli affreschi di Bominaco ci restituiscono oggi i toni, le atmosfere e i linguaggi di una società medioevale e rurale per lo più analfabeta, dove la superstizione e la religione dettavano i tempi, le regole e gli stili di vita. Una vita precaria, fatta di paura, di fame e soprusi, di insicurezza, dove le speranze erano riposte nella preghiera e nella devozione e chi non aveva la bibbia qui poteva “leggerla”.
“E’ difficile immaginare quanta bellezza e ricchezza pittorica sono ammirabili in questo Oratorio che all’apparenza sembra una delle tante piccole chiesette di campagna. Al suo interno si resta incantati ad osservare lo spettacolo di questo luogo “magico”… “un luogo dove magia e Fede si incontrano e si congiungono” ed il ciclo di affreschi ci apre una finestra sul passato riuscendo a comunicare attraverso il tempo in modo straordinariamente efficace.”
Ricostruito nella seconda metà del XIII secolo per opera dell’abate Teodino (data certa della riconsacrazione è il 1263, come dimostra l’iscrizione sotto il piccolo rosone sulla parete di fondo dell’oratorio che recita: “H DOMUS A REGE CARULO FUIT EDIFICATA ADQ P ABATEM TEODINUM START RENOVATA CURREBA…..NNI DNI TUNC MILLE CC ET SEXAGINTA TRES LECTO…….DICITO GENT….”.), si pensa che sia stato eretto per ordine di Carlo Magno (o di Carlo il Calvo) a cui San Pellegrino gli sarebbe apparso in una visione in seguito alla quale avrebbe rinvenuto, non lontano dal monastero, il corpo del martire, decidendo così di erigere una chiesa a lui dedicata poiché sull’architrave del rosone si legge un’iscrizione che lo riguarda e perché fornì alla chiesa dei terreni e la donò all’Abbazia di Farfa, dalla quale alcuni monaci vennero per fondare una comunità monastica.
L’oratorio, 110 m2 di semplicità, perché quasi grezzo, che visto dall’esterno sembra una piccola chiesetta, come tante, è armonioso e movimentato solo dalla presenza di due rosoni, il primo posto sulla sua facciata frontale ed il secondo su quella posteriore. In un secondo momento la parte anteriore è stata arricchita della presenza di un porticato. Il piccolo ambiente dispone di un’unica navata senza abside è lungo 18,70 metri per 5,60 metri di larghezza, sormontata da una volta a botte ogivale, coperto da volte a cielo di carrozza. Le pareti interne della chiesa sono interamente coperte da affreschi e, insieme a quelli della vicina chiesa di Santa Maria ad Cryptas a Fossa, rappresentano una testimonianza importante della pittura medioevale abruzzese.
Liberato dai rifacimenti ottocenteschi nel corso del restauro, terminato nel 1938, l’altare custodiva al suo interno il corpo del santo, sicuramente motivo di grande orgoglio per l’abbazia, secondo un uso attestato già dal V secolo circa, volto, attraverso la deposizione di reliquie, ad identificare l’altare con la tomba stessa di Cristo, assimilandolo così al sepolcro.
Nel mezzo della chiesa due plutei sono rappresentati da un drago e un grifo, probabilmente sono di riporto da Peltuinum. L’intero corpo dell’edificio è ricoperto di affreschi, stride il contrasto tra l’esterno ed interno, quasi sembra dirci “di guardare oltre le apparenze” e che la vera ricchezza la troviamo nella “semplicità” e probabilmente dove non immaginiamo.
Il culmine della volta, in ogni campata, presenta decorazioni sempre diverse che si stendono come preziosi tessuti ricamati. Sulla prima un cielo blu notte ricoperto di grandi stelle che, regolari e disposte su file, lo illuminano. Tra queste, a sinistra, tre misteriosi uccelli, due bianchi e uno nero, si appoggiano sulla cornice. La campata successiva è un tripudio di colore: due nastri bruni si intrecciano dando luogo ad anelli continui riempiti all’interno da rossi fiori, da ottagoni bicromi, losanghe decorate, tutto a ricoprire un cielo azzurro sul quale, tra gli anelli, compaiono le stelle. Curiosa la presenza della figura di un leone, simbolo dell’Evangelista Marco, apparentemente inserito senza uno scopo preciso all’interno della decorazione. Sulla terza campata è invece una fascia che spartisce geometricamente lo spazio, nei toni sfumati del rosso e dell’azzurro, ripiegandosi rigida e tridimensionale. Nell’ultima campata un più regolare, dal punto di vista coloristico, modulo geometrico, crea, tra grandi stelle a otto punte, motivi cruciformi rossi e verdi. Ovunque quindi torna la stella, anche se in forme diverse e il cielo quale elemento unificatore dell’insieme, accompagnato ai tralci vegetali che, più rigogliosi e naturalistici in alcuni punti, più stilizzati e rigidi in altri, incorniciano scene, spartiscono spazi, celano ed annullano le strutture portanti.
Lo straordinario ciclo di affreschi pittorici istoriati intrecciati tra loro, in modo complesso e a tratti disordinato, rappresenta episodi tratti dal Vangelo, la Deesis (dal greco δέησις, “supplica”, “intercessione”), tema iconografico cristiano di matrice culturale bizantina molto diffuso nel mondo ortodosso, uno dei più antichi calendari monastici con le personificazioni dei mesi, i segni zodiacali e le fasi lunari, e per avere più chiara la disposizione delle scene è bene tener conto che queste vedono nella controfacciata il loro inizio o la loro fine, disponendosi secondo un principio circolare, che si sviluppa da sinistra a destra, per cui l’apparente senso di disordine è in realtà frutto di una logica compositiva atta a trascendere lo spazio architettonico, favorendo il coinvolgimento del fedele in uno spazio spirituale, puramente cristiano.
Pertanto è seguito un filo logico e discorsivo sulla vita di Cristo e sono intitolati, rappresentati sulle pareti interne del modesto edificio e dipinti da maestri differenti, “Il Maestro dell’Infanzia”, “Il Maestro della Passione”, “Il Maestro Miniaturista” e “Il Calendario Bominacense”. Il primo ciclo dedicato alle Storie dell’Infanzia che comprende Annunciazione, Visitazione, Natività, Annuncio dei pastori, l’Adorazione dei Magi e la Strage degli Innocenti; poi i due cicli forti dell’Anno liturgico, il ciclo del Triduo pasquale della Passione di Cristo, con l’entrata a Gerusalemme, la lavanda dei piedi, l’Ultima cena, il tradimento di Giuda, l’arresto, il processo, Pilato che si lava le mani, la Flagellazione, la Deposizione dalla croce, la Deposizione nel Sepolcro, indi l’Incontro e l’apparizione ad Emmaus, la Vita di Maria, direttamente sulla porta d’ingresso due Profeti del Vecchio Testamento, Zaccaria in alto ed Isaia in basso e scene del Giudizio Universale, diviso nelle scene della Pesa delle anime, i 3 patriarchi con le anime in grembo dei beati dopo la morte e S. Michele che pesa le anime, poi Adamo, Daniele, Samuele, Salomone ed Elia, San Pietro che apre le porte del paradiso, Cristo assiso Benedicente tra i 4 Apostoli, poi cinque figure di Profeti, Mosè, Giobbe, Giona, Isaia Abdia, scene dell’Inferno con i dannati torturati dai demoni, cui seguono, il ciclo del Natalizio più gli apostoli e i vari santi che la comunità onorava nelle proprie chiese, tra cui 6 storie dedicate a San Pellegrino e sotto il suo affresco gigantesco è visibile il gruppo dei 4 Santi, San Cristoforo (presenza giustificata dalla credenza, non solo abruzzese, che, se guardato giornalmente, avrebbe preservato da una morte improvvisa, come si legge anche dall’iscrizione posta tra le sue gambe), Sant’Onofrio, San Martino (che divide il mantello con il povero), e San Francesco d’Assisi (rivolto a destra con il busto, il suo gesto con la mano sinistra si può mettere in relazione con la scena corrispondente sul lato opposto, l’Ingresso a Gerusalemme, inerente la Passione, fungendo così da tramite tra il fedele e l’avvenimento della storia santa), come indicato nell’interessantissimo e raro Calendario liturgico cristiano Bominacese ivi dipinto, tra i pochi e meglio conservati, di cui restano leggibili soltanto i primi sei mesi raffigurati tramite i segni zodiacali, le attività dell’uomo e le festività della diocesi di Valva (Corfinio), al quale apparteneva l’oratorio, con il mese di Gennaio rappresentato da un uomo che beve vino, Febbraio da un uomo che pota un albero, Marzo da un uomo dormiente, Aprile da un uomo che tiene due fiori, Maggio da un uomo a cavallo con un fiore e infine Giugno da un uomo che coglie il frutto. Il tempo del lavoro dell’uomo si identifica così con il tempo di Dio, l’Ora et Labora della regola di S. Benedetto, con lo spazio architettonico della chiesa che scandisce il tempo della chiesa stessa. Per finire, al culmine della controfacciata si osserva un medaglione con l’Agnus Dei, simbolo per eccellenza del sacrificio di Cristo anche se le scene della Crocifissione e della Resurrezione non compaiono poiché gli affreschi in San Pellegrino celebrano i contenuti essenziali della fede cristiana.
Tali cicli si mostrano lineari, ma spesso alcuni riquadri sono più grandi degli altri, occupando tutto lo spazio, con distinzioni appena visibili nella separazione delle sequenze da cornici esili. Dipinti, quando si osservano meritano un religioso silenzio, perché è l’energia del luogo “che parla”. Gli storici hanno evidenziato la mano di tre artisti per via delle differenze tra i cicli, per questo si ritiene plausibile che gli affreschi furono concepiti come emanazione della stessa liturgia che i monaci celebravano nel coro conventuale e che pertanto gli autori dei vari affreschi furono gli stessi monaci. Infatti “L’insieme pittorico esprime una simbiosi culturale che soltanto la comune educazione teologica e la medesima sensibilità monastica potevano produrre.”
Un bassorilievo con due angeli intorno ad un piccolo foro e un’iscrizione che recita “CREDITE QUOD HIC EST CORPUS BEATI PELLEGRINI”, si trova in una cavità a destra del blocco d’altare, nella quale, secondo la tradizione locale, era possibile inserire il capo appoggiando l’orecchio in corrispondenza del foro e così ascoltare il battito del cuore del santo. Probabile reviviscenza dell’antico rito dello “strofinamento” con la terra nella quale trasferire il proprio male, connesso, in epoca cristiana, generalmente a quei santi che avevano un particolare legame con le grotte. Quest’uso si ritrova anche in altri luoghi sacri d’Abruzzo, ad esempio nell’Eremo di S. Venanzio a Raiano o a Santa Colomba ad Isola del Gran Sasso.
Gli spazi interni dell’oratorio sono divisi in due da due plutei decorati da un simurgh sasanide, una sorta di drago e un grifone, animale mitologico della cultura mesopotamica, che servivano per separare gli spazi dedicati ai fedeli da quelli riservati ai catecumeni.
Vari sono i riferimenti, da quelli della tradizione iconografica bizantina delle scene, desunta soprattutto dai modelli offerti dalla miniatura orientale, sulla quale si innestano elementi tipici della cultura occidentale, specialmente locale abruzzese. Ad esempio l’abito indossato da Maria Vergine nella scena della Visitazione, composto dal “maphorion” sotto il quale si vede spuntare la veste a rombi, desunta dal vestiario locale, e in molte scene si nota il superamento dell’immobilismo bizantino-romanico, infatti alcuni brani fanno capolino elementi iconografici d’ispirazione francese.
I riquadri volgono alla ricerca del particolare con spunti di vita quotidiana, e gesti dei personaggi fortemente espressivi. Manca nel ciclo la Crocifissione, sostituita dalla Deposizione, episodio non troppo frequente nella tradizione occidentale. Il particolarismo è presente soprattutto nella scena di Emmaus, con la corta veste e il bastone, descrittivismo autentico degli affreschi di Bominaco. L’uso disinvolto del colore e il disinteresse per gli effetti plastici e spaziali portano il maestro della Passione verso la ricerca di una resa popolaresca bidimensionale della realtà.
Il ciclo di affreschi si denota una certa uniformità di linguaggio che è caratterizzato dal naturalismo gotico sul quale si innestano richiami benedettini e bizantini la cui personale reinterpretazione fanno del ciclo di affreschi di Bominaco una testimonianza preziosa, anticipatrice della stagione pittorica duecentesca, prima della pittura giottesca, che con l’introduzione della tridimensionalità cambierà per sempre l’arte italiana ed europea.
Ciò che rimane misteriosa è l’identità del santo che l’iscrizione nel primo riquadro indica proveniente dalla Siria: “DE SIRIA S(an) C(tu)S PEREGRINU (s) VE(n) IT AD URBE(m)”. Il Pellegrino qui citato che il Calendario dipinto indica celebrato il 18 Novembre e le storie rappresentate, non coincidono con nessun S. Pellegrino conosciuto. Si escludono così il S. Pellegrino venerato sull’Appenino Tosco-Emiliano, il S. Cetteo vescovo di Amiterno venerato sulle coste dalmate con il nome Pellegrino, annegato nel 590 dai Longobardi nelle acque del fiume Pescara e festeggiato il 13 Giugno, il S. Pellegrino, le cui reliquie sono conservate ad Ancona ed il santo vescovo di Terni festeggiato il 16 Maggio.
Ricollegandosi alla presunta fondazione carolingia citata nel Chronicon Vulturnense, lo stesso imperatore Carlo Magno, dopo la visione, dovette chiedere agli abitanti del luogo notizie sulla vita del santo a lui apparso. Si potrebbe allora ipotizzare l’esistenza di un culto locale di origine popolare che trasforma un santo pellegrino in San Pellegrino, protettore dei viaggiatori, visto che nella prima scena il santo indossa un copricapo tipico del pellegrino?
Per finire? Una sola parola: “IMMENSO”!
Foto by Centro Turistico TREe
Fonti: Wikipedia – Serafino Lo Iacono, “Bominaco, insonne desiderio di Dio” – Rossella Tirimacco – http://abruzzoforteegentile.altervista.org/la-cappella-sistina-dabruzzo-loratorio-di-san-pellegrino-a-bominaco/
http://abruzzando.com/oratorio-di-san-pellegrino-bominaco/ http://www.storiadellarte.com/articoli/guida/AFFRESCHI%20ORATORIO%20DI%20SAN%20PELLEGRINO.html
http://www.iluoghidelsilenzio.it/oratorio-di-san-pellegrino-caporciano-aq/
http://www.comunecaporciano.aq.it/c066022/zf/index.php/servizi-aggiuntivi/index/index/idtesto/9
https://www.beniculturali.it/mibac/opencms/MiBAC/sito-MiBAC/Luogo/MibacUnif/Luoghi-della-Cultura/visualizza_asset.html?id=150510&pagename=57http://www.camminareinabruzzo.it/2017/03/07/il-meraviglioso-ciclo-di-affreschi-di-san-pellegrino-a-bominaco/http://discoveryabruzzomagazine.altervista.org/caporciano-aq-il-borgo-medievale-di-bominaco-a-cavallo-fra-leggenda-e-storia-mitologia-e-religione/