
Borghi mozzafiato – “A” di Alfedena

Forse non si ergerà a picco su di una roccia, forse non farà venire le vertigini come gli altri borghi di cui stiamo già parlando ma Alfedena aveva, comunque, il potere di colpire nel profondo gli occhi di chi la visitava. E, in un certo senso, lo ha ancora oggi. Soprattutto ai tempi in cui M. C. Escher decise di immortalarlo, ancora intatto prima della parziale distruzione subita durante la II Guerra Mondiale, Alfedena aveva qualcosa di magico che riusciva a superare la realtà e la percezione umana. Un luogo dove la cognizione dello spazio si faceva incerta e ambigua e dove il fulcro centrale era rappresentato dal “Ponte” che univa le abitazioni sospese tra una parte e l’altra del profondo fossato. Il paese in provincia dell’Aquila, situato nel Parco Nazionale d’Abruzzo Lazio e Molise, pareva un borgo impossibile più all’interno che al suo esterno.
Un disordine grandioso, il labirinto del borgo di Alfedena, che affascina l’artista olandese, così come, per quel che è rimasto, il visitatore del nostro secolo, seppur scoraggiato dal mettere piede in un mondo così incerto, ma attratto dalla sua stessa architettura caotica, costruttivamente impossibile e capace di portare in luce gli errori percettivi compiuti dai nostri sensi durante la sua osservazione. Errori che si prestano, da un lato, a diventare piacevoli visioni da scoprire e assaporare con gli occhi e, dall’altro, a denunciare il crollo della ragione che non riesce a capacitarsi dell’irrazionalità delle sue costruzioni.

Oggi il fulcro del borgo di Alfedena non è più il “Ponte” immortalato nell’opera di Escher ma, dopo la ricostruzione, la Chiesa dei Santi Pietro e Paolo da cui il “labirinto” di vicoli e stradine si propaga nei confronti di tutto l’abitato e che si protende verso la roccaforte del Castello dal quale, nel caso ci si fosse persi, è possibile affacciarsi per scorgere la via d’uscita dal paese.

L’olandese, però, non fu suggestionato solo dall’interno del borgo ma anche dal contesto ambientale e dal paesaggio circostante. Ecco allora che decide di immortalarlo nuovamente, stavolta con un altro paese sullo sfondo, quello di Scontrone, divenuto anch’esso borgo dell’arte grazie anche ai numerosi murales sparsi tra i suoi vicoli.
La litografia non rappresenta, però, solo un contesto paesaggistico con le sue prospettive ma racconta anche di un curioso aneddoto legato alla storia e alla cultura di Alfedena.

Se si osserva attentamente l’immagine, si possono facilmente notare gli strani alberi in primo piano, alti e con un solo ciuffo di foglie sulla
cima. Sembrano piante che non fanno parte della natura abruzzese, invece, non sono altro che salici, olmi e in gran parte pioppi. Ma perché Escher avrebbe dovuto rappresentarli in questa maniera?
In realtà gli alberi erano realmente sistemati in questo modo dagli abitanti del paese, non per un puro fatto estetico ma per un motivo molto preciso. La popolazione di quel periodo era povera e basava il suo sostentamento quasi ed esclusivamente sulla pastorizia. Ecco, allora, che, durante i rigidissimi inverni, quando le loro capre non riuscivano più a nutrirsi con l’erba dei prati ricoperti da spesse coltri di neve, i pastori raccoglievano per loro le foglie dei rami più bassi, lasciando solo quelle delle cime dove non riuscivano ad arrivare.
Riuscirai a districarti anche tu una volta entrato nel labirinto del borgo di Alfedena?
Scopri i Borghi Impossibili d’Abruzzo: A – Alfedena, A – Altino, C – Castrovalva, M – Musellaro
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