Eremi della Maiella e loro Tradizioni n°8 – San Michele Arcangelo a Pescocostanzo

Luogo di deserto, grazie alle sue alte vette e ai suoi paesaggi selvaggi e sconfinati, ponte di accesso per l’Infinito per molti dei più grandi asceti alla ricerca di Silenzio, l’Abruzzo è, da sempre, una terra intrisa di sacralità.

Il percorso attorno alla montagna “madre” della Maiella che ci sta portando dal versante settentrionale al lato occidentale che comincia ad affacciarsi sulla Conca Peligna, ci ha condotti all’imperdibile Eremo di San Michele Arcangelo a Pescocostanzo.

Eremo di San Michele a Pescocostanzo visto ai piedi della vallata (foto by Wikipedia)

Così come la maggior parte dei più importanti luoghi di culto “micheliti” sono situati all’interno delle grotte, anche l’eremo pescolano è stato edificato a ridosso di una grossa insenatura rocciosa. Nonostante la sua posizione isolata e sui monti, esso era collegato ad un’ampia via di comunicazione che poteva partire da Pavia, passando per Benevento, per arrivare ad uno dei più importanti santuari dedicati all’Arcangelo del mondo, quello di Monte Sant’Angelo. La via era costellata, per tutto il suo percorso, da una fitta rete di luoghi di culto, quasi equidistanti tra loro, eretti in onore di Michele. La principale rotta, probabilmente già utilizzata dai romani, che i Longobardi seguivano per collegare la loro capitale pavese, insieme alla loro più importante città meridionale beneventana, al luogo di apparizione del loro santo guerriero protettore sul Gargano.

Interno dell’Eremo di San Michele a Pescocostanzo (foto by David Giovannoli)
Interno n°2 dell’Eremo di San Michele a Pescocostanzo (foto by David Giovannoli)

La scelta della grotta, quando si parla di San Michele, non è casuale. Essa, infatti, esprime un forte valore simbolico, facente parte, nell’immaginario collettivo, soprattutto medioevale, delle porte d’accesso agli inferi. Così come manifestato anche da Dante Alighieri nella Divina Commedia, infatti, si pensava che queste insenature, molto spesso dirette verso l’interno oscuro, e il più delle volte ignoto, delle rocce, dava l’impressione che esse fossero collegate con le profondità della terra e, quindi, l’Inferno. Per questo motivo si decideva di dedicare gli anfratti al culto del più acerrimo nemico del demonio, l’unico che fu in grado di dominarlo e di cacciarlo dal Paradiso, l’Arcangelo Michele, il quale si sovrappose alle figure di simile valenza di epoca precristiana come, nel caso del territorio abruzzese, l’eroe greco-romano Ercole. La grotta, inoltre, era una metafora tangibile del profondo interiore nel quale l’asceta poteva ritrovarsi. Un’interiorità per cui l’uomo ha bisogno di un coraggioso Silenzio senza il quale è impossibile fare i conti con il proprio ignoto ed affrontare i pericoli verso il quale conduce. Un’aspra lotta contro i propri mali e i propri limiti personali per cui si invocava, così come per la permanenza nelle grotte, l’aiuto dell’Arcangelo.

Porta d’Ingresso vista dall’interno (foto by David Giovannoli)
Altare e statua di San Michele Arcangelo (foto by David Giovannoli)

Anche San Francesco d’Assisi, molto devoto a San Michele, utilizzò questa strada durante i suoi spostamenti per recarsi al Santuario di Monte Sant’Angelo, visto che questa era la strada più importante dell’epoca che congiungeva la vicina Spoleto al luogo di culto sul Gargano. Per questo si presume che il fondatore dell’ordine francescano abbia avuto la possibilità di soffermarsi, nel suo passaggio, anche all’Eremo di Pescocostanzo. Ancora oggi sono visibili i luoghi dedicati all’Arcangelo posti lungo questa via, e, laddove oggi scomparsi, la loro passata esistenza è rintracciabile attraverso i vari toponimi ancora sopravvissuti. Solol per citarne alcuni nel tratto abruzzese possiamo ricordare: la Chiesa di San Michele situata sopra le Catacombe di San Vittorino, il Convento di Sant’Angelo d’Ocre, Villa Sant’Angelo, l’Eremo-Grotta di San Michele a Bominaco, la Chiesa di San Michele Arcangelo a Beffi, la Grotta di San Michele a Roccacasale, l’Eremo di Sant’Angelo in Vetulis sita tra Sulmona e Pacentro.

Esterno della struttura dell’Eremo di San Michele a Pescocostanzo (foto by David Giovannoli)
Particolare dell’esterno (foto by David Giovannoli)
La struttura dell’eremo si presenta, con l’ampia cavità naturale murata all’esterno da un muro di pietre, quasi a sembrare, dal di fuori, una normale chiesa rurale che al suo interno nasconde una suggestiva sorpresa. Esso è stato realizzato sulla base del Santuario di Monte Sant’Angelo e forniva la possibilità ai visitatori di avere almeno un assaggio di quello che doveva essere il ritrovarsi nel luogo dell’Apparizione dell’Arcangelo sul Gargano.

Non vi è molta memoria dei riti della religiosità popolare se non quelli della frequentazione della grotta nei periodi delle festività di San Michele. Degno di nota era l’appartenenza del luogo all’Abbazia di Monte Cassino che lo aveva scelto come luogo di ritiro, ascesi e solitudine ma anche come postazione ideale il controllo delle greggi che transitavano lungo la vallata. Fino alla sopravvivenza della transumanza, infatti, anche a seguito dell’abbandono da parte dei monaci, l’eremo è rimasto punto di riferimento per la sosta dei pastori transumanti, tra l’altro molto devoti al principe della milizie celesti, che si accingevano a raggiungere il capoluogo foggiano. 

Riferimenti bibliografici:

  • Micati Edoardo, Eremi e luoghi di culto rupestri della Majella e del Morrone, CARSA Edizioni, Pescara 1990

Riferimenti sitografici:

  • www.diquipassofrancesco.it/IT-Ali/

“Eremi della Maiella”: 1. Eremo di Sant’Onofrio a Serramonacesca, 2. Eremo di San Giovannino a Serramonacesca, 3. Eremo della Madonna della Mazza a Pretoro, 4. Grotta del Colle a Rapino, 5. Eremo di Sant’Angelo a Palombaro, 6. Monastero di S. Martino in Valle a Fara S. Martino, 7. Eremo della Madonna dell’Altare a Palena, 8. Eremo di San Michele a Pescocostanzo

Eremi della Maiella e loro Tradizioni n°7 – Madonna dell’Altare a Palena

Continua il nostro viaggio nell’Abruzzo terra degli Eremi, proseguendo il cammino sulla montagna madre della MajellaCustodi dell’Eterno che hanno permesso all’uomo di entrare in contatto con il Silenzio, dove è tutt’ora possibile recarsi per dare tregua all’irrefrenabile scorrere del tempo. Luoghi, circondati dall’Infinito, costruiti dove non solo lo spirito, ma anche tutti i sensi possano essere in grado di rinfrancarsi.

Eremo visto dall’alto (foto by abruzzoturismo.it)

Lungo la strada che abbiamo utilizzato per circumnavigare la montagna, è avvenuto il nostro settimo incontro, quello con uno tra i più incantati dei luoghi di culto rupestri di questo territorio: l’Eremo della Madonna dell’AltarePalena, posto in cui è ancora possibile percepire la presenza, nonostante siano passati molti secoli dopo l’ultimo suo passaggio, di Papa Celestino V, uno dei più grandi eremiti di tutti i tempi.

Plastico dell’eremo n.1 (foto by David Giovannoli)
Plastico dell’eremo n.2 (foto by David Giovannoli)
Plastico dell’eremo n.3 (foto by David Giovannoli)

Dedicato alla Madonna dell’Altare, proprio per il fatto che l’edificio si erge a strapiombo su di un’imponente rupe scoscesa che da l’idea di un imponente altare naturale, appositamente realizzato dal Creatore per permettere all’uomo in ricerca di poter affacciare il suo sguardo sull’Infinito. E cosi, infatti, è stato probabilmente ancor prima del cristianesimo ma per scopirne realmente l’essenza si è dovuto attendere l’arrivo dell’eremita Pietro da Morrone, il futuro Papa del “Gran Rifiuto“, l’unico così profondamente connesso con Dio e con la Sua Creazione da riuscire a percepire per primo la presenza di questa “porta di accesso” all’Eterno.

Porta d’accesso (foto by David Giovannoli)

L’attuale struttura, però, è una costruzione dei Celestini non ancora presente ai suoi tempi, visto che nella sua umiltà, quando lo scelse personalmente come meta in cui dimorare nel Silenzio, si accontentò di una semplice cavità naturale situata nella roccia sulla quale oggi poggia l’eremo. In seguito al passare del tempo, l’edificio passò alla mercé di una ricca famiglia, i baroni Perticone, che ne fece la sua dimora estiva, apportando diversi restauri che furono necessari al cambiamento d’uso, poi con l’arrivo dei soldati tedeschi, nella II Guerra Mondiale, fu adibito a carcere. Fortunatamente, però, l’eremo è riuscito a preservarsi da queste dure prove ed oggi è stato restituito alla sua originale funzione, quella di luogo in cui rigenerare lo Spirito.

Interno del piazzale (foto by David Giovannoli)
Vista dall’orto delle erbe aromatiche (foto by David Giovannoli)

A differenza degli eremi finora visitati, spesso semplici grotte o piccole cappelline realizzate tra gli anfratti rocciosi, questa volta la struttura del luogo di culto si presenta in tutta la sua magnificenza. Un piccolo complesso molto curato esteticamente dove l’esterno si presenta quasi come se fosse un monastero fortificato. Porta d’accesso, particolari che fanno pensare a piccole guglie, una rocca inaccessibile. Ma anche l’interno, da poco restaurato, si presenta di grande fascino. Il refettorio, un antico camino per cucinare che soltanto con lo sguardo permette di assaporare la sua storia, e nei piani superiori le camere per l’ospitalità e una biblioteca, sempre con camino, dove potersi rifugiare nella lettura e nella ricerca interiore. Dalle finestre è dall’orto dove si coltivano le piante aromatiche, è possibile godere di un panorama stupefacente.

Vista dalla grotta di Celestino V (foto by David Giovannoli)
Luogo in cui si fermava l’eremita Celestino V (foto by David Giovannoli)

Insomma, in questo eremo ci sono tutti i presupposti per poter continuare a ricaricarsi, ancora oggi, allo stesso modo in cui facevano gli eremiti sulle orme di Celestino V. Non manca la chiesetta dedicata alla Madonna dell’Altare con una bella statua in suo onore e le campane i cui rintocchi continuano, attraverso i secoli, ad aiutare l’attento visitatore a ritrovare la concentrazione necessaria per ritornare al Silenzio.

Statua della Madonna dell’Altare
Campane nella Chiesetta dell’Eremo della Madonna dell’Altare (foto by David Giovannoli)

Dei riti della religiosità popolare sorti in questo luogo, purtroppo, rimangono solo il pellegrinaggio in onore della festa tradizionale della Madonna dell’Altare, il 2 Luglio. I pellegrini partono da Palena, molti arrivano anche dai paesi limitrofi, e giungono all’eremo dove, almeno anni fa, si usava pernottare per poi ripartire il giorno successivo.

Interno dell’eremo 1 (foto by David Giovannoli)
Finestra dell’eremo che si affaccia sul panorama (foto by David Giovannoli)
Interno dell’eremo 1 (foto by David Giovannoli)

Attualmente l’eremo è gestito dall’associazione Eremo Celestiniano Palena, che custodisce nelle sue sapienti mani questa meraviglia. Siamo stati ricevuti da loro con grande accoglienza. Siamo stati trasportati dai loro racconti e dalla loro guida alla visita della struttura, e sicuramente troveremo l’occasione per tornare, un giorno, per soffermarci alcuni giorni e godere della loro preziosa ospitalità, nonché per immergerci nel Silenzio e rinfrancare il nostro Spirito.

 

Riferimenti bibliografici:

  • Micati Edoardo, Eremi e luoghi di culto rupestri della Majella e del Morrone, CARSA Edizioni, Pescara 1990, pp. 114-118
  • Tavano Giovanni, Eremi d’Abruzzo: guida ai luoghi di culto rupestri, CARSA Edizioni, Pescara, 2007, pp. 33-34

“Eremi della Maiella”: 1. Eremo di Sant’Onofrio a Serramonacesca, 2. Eremo di San Giovannino a Serramonacesca, 3. Eremo della Madonna della Mazza a Pretoro, 4. Grotta del Colle a Rapino, 5. Eremo di Sant’Angelo a Palombaro, 6. Monastero di S. Martino in Valle a Fara S. Martino, 7. Eremo della Madonna dell’Altare a Palena

Eremi della Maiella n°6 – Eremo di Santo Spirito (Abbazia di San Martino in Valle) a Fara San Martino

L’Abruzzo è una regione non solo con la concentrazione di Eremi, per densità sul territorio, più alta del mondo, preceduto solo dal Tibet e dalla Cappadocia, ma anche un territorio tempestato di Monasteri e di Chiese romaniche. Ad ogni eremo, infatti, quasi sempre corrispondeva un Abbazia dalla quale i monaci partivano alla ricerca di un Silenzio che solo nella solitudine e nel deserto delle montagne abruzzesi era possibile trovare. Luoghi, come le grotte, spesso lasciati nelle condizioni in cui la natura li aveva conformati, altre volte, a seconda dell’importanza che assumevano venivano preservati da rudimentali architetture che, a distanza di secoli, li custodiscono come scrigni e ci permettono di vivere ancora momenti di Eternità.

Il nostro viaggio alla scoperta degli eremi d’Abruzzo e delle tradizioni popolari prosegue con l’Eremo di Santo Spirito di Fara San Martino Fara San Martino situato sui monti della Maiella.

Eremo-grotta di Santo Spirito a Fara San Martino (Foto by Micati Edoardo, Eremi e luoghi di culto rupestri della Majella e del Morrone, CARSA Edizioni, Pescara 1990, p. 110)

Dedicato San Martino di Tours, soldato romano nato da genitori pagani in Pannonia, oggi l’attuale Ungheria, che secondo la tradizione donò metà del suo mantello ad un mendicante seminudo che pativa il freddo durante un gelido acquazzone, facendo subito miracolosamente schiarire il cielo e rendendo la temperatura più mite. Gesto che, nella stessa notte, provocò anche l’apparizione di Cristo rivestito dello stesso lembo di mantello donato al povero, e che gli fece prendere la decisione di convertirsi al cristianesimo. Uno dei fondatori del monachesimo in occidente, eremita e cercatore della vita ascetica ed uno dei Santi più venerati dai Longobardi, fondatori del paese di Fara S. Martino.

L’eremo, che altro non è che una semplice grotta, è stato fondato dai monaci benedettini della vicina e splendida Abbazia di San Martino in Valle, di cui si hanno le prime fonti storiche che risalgono all’829. La tradizione vuole che sia stata edificata dallo stesso santo arrivato sulla Maiella all’interno del Canyon da lui creato per aver aperto a gomitate una via tra le rocce per permettere agli abitanti di Fara di accedere ai pascoli e alle fonti d’acqua.

Entrata del Vallone Santo Spirito (foto by Davi Giovannoli)
Abbazia di San Martino in Valle (foto by David Giovannoli)
Abbazia di San Martino in Valle (foto by Virtù Quotidiane)

L’abbazia, purtroppo, fu abbandonata l’8 settembre del 1818 a seguito di una frana che lo ricoprì completamente di detriti. Nel 2009 un’operazione di scavi la riporto alla luce e, nonostante siano rimaste solo rovine, i suoi resti, all’interno del vallone e tra le immense pareti rocciose che la circondano, creano un’intensa suggestione. Se si osserva attentamente, inoltre, è ancora possibile leggere la sua storia attraverso alcune delle decorazioni che adornavano i suoi capitelli, segni d’un tempo che non verrà mai più sepolto.

Interno dell’Abazia di San Martino in Valle (foto by Pinterest)
Interno di San Martino in Valle (foto by David Giovannoli)
Interno dell’Abazia di Sa Martino in Valle (foto by David Giovannoli)

Seppur resta difficile credere che San Martino di Tours sia riuscito ad arrivare in Abruzzo, la tradizione popolare ha saputo fondere e collegare i suoi luoghi con la storia, questa volta reale, di un altro eremita di nome Martino, abruzzese e nato ad Atessa nel quattrocento, tutt’ora venerato e che un tempo si ritirò nel Silenzio proprio negli stessi luoghi in cui si ritiravano i monaci benedettini del vicino monastero. La tradizione narra che all’approssimarsi della sua morte il Santo, tornato in paese, chiese al popolo di commemorarlo portando ogni anno dei ceri nel luogo del suo eremitaggio

Interno dell’Abazia di San Martino in Valle (foto by David Giovannoli)
Interno dell’Abbazia di San Martino in Valle (foto by David Giovannoli)
Interno dell’Abbazia di San Martino in Valle (foto by David Giovannoli)

A ricordarlo sono i suoi compaesani che ogni anno compiono un rituale in suo onore chiamato “La ‘ntorcia” di San Martino”.

San Martino eremita di Atessa (foto by lantorciadisantmartine.it)

Un pellegrinaggio impegnativo, ma ricco di emozioni e carico di spiritualità che si mette in scena tutte le prime domenice del mese di maggio. I pellegrini partono di notte, intorno alle 3 del mattino uscendo dalla Chiesa di San Leucio in direzione del Vallone di Santo Spirito di Fara San Martino portando in dono all’eremita cinque grandi ceri votivi del peso di circa 7 chili e adornati di fiori, chiamati “n’torcia“, rito necessario, secondo la credenza popolare, a propiziare il buon esito dei raccolti.

Ndorcia di San Martino eremita di Atessa (foto by lantorciadisantmartine.it)

Un percorso abbastanza lungo, circa 30 chilometri, lungo il quale, però, i devoti atessani trovano ristoro grazie agli abitanti dei paesi attraversati che, molto spesso, decidono di unirsi al loro cammino. Arrivati a destinazione, i pellegrini lasciano due mazzi di spighe di grano e due ceri nella chiesa principale del paese di Fara San Martino, si fermano nella chiesa di Santa Maria dell’uliveto che si trova all’imbocco della gola di San Martino, e giungono ai ruderi dell’antica Abbazia di San Martino in Valle. I devoti più temerari saliranno, infine, fino alla grotta. Qui deporranno le ultime “ndorce” e le accenderanno per poi raccogliere delle piccole pietre al suo interno, definite “le cicelitte”, usate, una volta a casa, per guarire i dolori addominali o per benedire i propri campi

Riti della religiosità popolare che risalirebbero agli ancestrali culti delle divinità solari in cui, sin dalla preistoria, si usavano accendere fuochi, simbolo maschile del sole e dei suoi raggi, all’interno delle grotte, simbolo femminile del ventre materno, per propiziare la fertilità della Madre Terra. Un rituale molto simile nei particolari anche a quello compiuto nell’antica Grecia in onore di Apollo.

Raccolta di pietroline nell’Eremo-grotta di San Martino (foto by lantorciadisantmartine.it)

 

Riferimenti bibliografici:

  • Micati Edoardo, Eremi e luoghi di culto rupestri della Majella e del Morrone, CARSA Edizioni, Pescara 1990
  • Nicolai Maria Concetta, Abruzzo 150 Antiche Feste, Edizioni Menabò, Ortona, 2014

“Eremi della Maiella”: 1. Eremo di Sant’Onofrio a Serramonacesca, 2. Eremo di San Giovannino a Serramonacesca, 3. Eremo della Madonna della Mazza a Pretoro, 4. Grotta del Colle a Rapino, 5. Eremo di Sant’Angelo a Palombaro, 6. Monastero di San Martino in Valle, 7. Eremo della Madonna dell’Altare

Eremi della Maiella e loro Tradizioni n°4 – Madonna della Grotta (o Grotta del Colle) di Rapino

La “montagna madre” della Maiella, così considerata, da intere generazioni, per la sua naturale capacità di accogliere un’incredibile varietà di vita e di specie vegetali e animali, ha da sempre offerto all’uomo la possibilità di ritirarsi e rigenerarsi per cercare risposte al suo cammino interiore. Luoghi talmente simili al grembo materno che infondevano la sensazione addirittura di ritornare, almeno per qualche istante, nell’utero dal quale si era stati concepiti e dove, avvolti nel suo buio più profondo, combattere con i propri limiti per riemergere, con maggiore consapevolezza, alla Luce.

L’effetto che si prova entrando nella Grotta del Colle di Rapino dove si trovano ancora i resti, seppur esigui, dell’Eremo della Madonna della Grotta (o di Santa Maria de Cryptis), eretto probabilmente tra l’XI e il XIV secolo dai Monaci Benedettini della vicina Abbazia di San Salvatore a Maiella, di cui anche in questo caso non è rimasto granché, è molto suggestivo.

Resti dell’Eremo della Madonna della Grotta (foto by David Giovannoli)
Resti archeologici dell’Eremo dalla Madonna della Grotta (foto by “In Abruzzo” – inabruzzo.it)

Ciò che cattura l’anima del visitatore non è la struttura del romitorio posto a ridosso dell’entrata della grotta, e che si fatica a ritrovare per via dei rovi che la sommergono, ma la cupola naturale che si estende per 45 metri di larghezza e 6 di profondità e che si prepara ad accogliere chi si accinge a visitarla. Essa ha da sempre attratto l’uomo che, fin dalla preistoria, ne è rimasto affascinato per la sua forte somiglianza simbolica all’utero materno e per la ricchezza di concrezioni calcaree da cui stilla continuamente acqua e dove in essa rivedeva l’immagine dell’allattamento, eleggendolo da sempre come luogo di culto per i riti in funzione della “Madre Terra”. Resti e frammenti ossei di quel periodo ne sono testimonianza ma i ritrovamenti più straordinari rinvenuti al suo interno risalgono ad una delle più importanti Popoli Italici che abitavano l’Abruzzo prima dei Romani, i Marrucini, i quali vi avevano istituito uno dei loro principali santuari.

Grotta del Colle (foto by David Giovannoli)
Ingresso della Grotta del Colle (foto by Paolo D’Intino)

Tra i manufatti più importanti rinvenuti vi è la statuetta in bronzo del VII-VI sec. a.C. soprannominata “Dea di Rapino“. L’idoletto femminile, alto poco più di 10cm e conservato presso il Museo della Civitella di Chieti, però, non rappresenta, così come si è voluto credere, una divinità ma una sacerdotessa in atto di offrire, probabilmente a scopo propiziatorio, i prodotti del raccolto alla dea Ceria Giovia, nume tutelare della terra e dell’agricoltura tra le più importanti del Pantheon Italico. La donna rappresentata, infatti, oltre ad essere rivestita in abiti da cerimonia, con una lunga tunica e i capelli raccolti in una elaborata acconciatura, nella mano destra porge delle spighe di grano.

Dea di Rapino (foto by “Direzione regionale Musei Abruzzo” – musei.abruzzo.beniculturali.it)

Altra scoperta sensazionale è la Tabula Rapinensis, una lastra in bronzo sulle quali iscrizioni incise in dialetto marrucino si riportano particolari sul culto del santuario. All’interno della grotta, o nei pressi, esisteva un collegio femminile che accoglieva fanciulle con eccelse qualità fisiche, morali o di lignaggio destinate a rituali. Per alcuni anni, sotto la guida della maestra sacerdotale, esse si offrivano, attraverso una prostituzione sacralizzata, per il compimento di riti rievocanti la forza creatrice suprema e la potenza generatrice di Ceria Giovia. Purtroppo, della “Tavola Rapinese”, portata al Museo di Berlino dall’archeologo Theodor Mommsen e scomparsa nel 1945, non si hanno più tracce. Si ritiene possa essere stata trafugata dalle truppe sovietiche che lo hanno portato nel Museo Puškin di Mosca ma ad oggi non vi sono ancora certezze.

Tabula Rapinensis (foto by “Direzione regionale Musei Abruzzo” – musei.abruzzo.beniculturali.it)

La religiosità popolare di Rapino sembra aver conservato al suo interno, attraverso una rifunzionalizzazione accettabile nella fede cristiana, alcuni elementi rituali e simbolici propri del santuario italico. L’8 Maggio di ogni anno, giorno in cui si festeggia la Madonna del Carpineto, almeno fino a qualche anno fa, invocata per propiziare il buon raccolto alla stregua di come ci si rivolgeva alle antiche divinità vegetative, la statua della Madonna viene portata in processione preceduta dalle “Verginelle di Rapino”. Di età compresa dai 6 ai dieci 10 anni, le bambine vengono rivestite di lunghe tuniche alla “greca” di colore bianco, rosa e celeste, coronate da fiori su capelli rigorosamente arricciati e ornate di monili dati in prestito dalla cerchia di familiari. Prestare l’oro, infatti, aveva un ruolo apotropaico e questo metallo prezioso ricorda simbolicamente la divinità a la perfezione di Maria. Alle “Verginelle” è affidato anche il compito, prima dell’inizio della cerimonia, di distribuire pagnotte benedette in cambio di dolci e di un compenso economico alla parrocchia. (Nicolai Maria Concetta, Abruzzo 150 Antiche Feste, Edizioni Menabò, Ortona, 2014, pp. 137-141)

Vestiario delle Verginelle di Rapino (foto by David Giovannoli)
La Madonna del Carpino (foto by David Giovannoli)
Il carpino dove si afferma sia apparsa la Madonna (foto by David Giovannoli)

 

Riferimenti bibliografici:

  • AA.VV., Rapino: guida storico-artistica alla città e alle sue tradizioni, CARSA Edizioni, Pescara 2003, pp. 88-92
  • Micati Edoardo, Eremi e luoghi di culto rupestri della Majella e del Morrone, CARSA Edizioni, Pescara 1990, pp. 81-85
  • Nicolai Maria Concetta, Abruzzo 150 Antiche Feste, Edizioni Menabò, Ortona, 2014, pp. 137-141
  • Tavano Giovanni, Eremi d’Abruzzo: guida ai luoghi di culto rupestri, CARSA Edizioni, Pescara, 2007, pp. 42-43

“Eremi della Maiella”: 1. Eremo di Sant’Onofrio a Serramonacesca, 2. Eremo di San Giovannino a Serramonacesca, 3. Eremo della Madonna della Mazza a Pretoro, 4. Grotta del Colle a Rapino, 5. Eremo di Sant’Angelo a Palombaro, 6. Monastero di San Martino in Valle, 7. Eremo della Madonna dell’Altare

Eremi della Maiella e loro Tradizioni n°3 – Madonna della Mazza a Pretoro

La Maiella non ospita solo eremi ricavati dalle numerose grotte sparse tra le cime delle sue montagne. Non è solo il suo ventre materno ad aver ispirato la “rinascita” spirituale degli eremiti che vi si sono recati. Esistono altrettanti luoghi, a volte tra i boschi, altre volte a ridosso di cascate o rupi scoscese, dove l’uomo è riuscito ad entrare, allo stesso modo, in stretto contatto con il Creatore. Libri di pietra scolpiti sulla roccia che nascondono racconti di una cultura millenaria a volte difficile da decifrare ma ancora visibile, almeno in parte, grazie alle espressioni della religiosità popolare tramandateci fino ad oggi. Questo è il caso del terzo eremo in cui ci siamo imbattuti e delle tradizioni a esso correlate, l’Eremo-Santuario della Madonna della Mazza a Pretoro.

Terza tappa dell’itinerario attorno alla Maiella
Portale d’ingresso dell’eremo (foto by David Giovannoli)

Il luogo di culto è stato eretto in onore di Santa Maria del Monte nel XIII secolo per opera dei Monaci Cistercensi della vicina Abbazia di Santa Maria Arabona a Manoppello. Fu in seguito soprannominato Madonna della Mazza per via dello scettro, o bastone, che la statua, risalente al XV secolo, regge nella mano destra come simbolo della Sua regalità. La funzione del romitorio non era soltanto quella di avere un modo per isolarsi e dedicarsi in completa solitudine alla preghiera e alla contemplazione ma anche quella di giocarsi un ruolo strategico nel controllo dei viandanti e dell’attività commerciale e pastorale che transitava sui loro territori. un po’ come si faceva, in realtà, con molti degli altri eremi posizionati sulle vie d’accesso ai pascoli gestiti dalle grandi abbazie. Esso, infatti, sorgeva sull’importante percorso viario, Passo Lanciano, tappa obbligata per coloro che volevano attraversare la Maiella ma noto anche per i suoi importanti pascoli d’altura. L’eremo, però, fungeva soprattutto anche come importante, e a volte fondamentale, ricovero per i passanti che venivano colti dalle improvvise e terribili tempeste e bufere di neve, spesso anche fuori stagione, permettendo di salvare vite e di concedere ospitalità, rifugio e salvezza, non solo spirituale.

Madonna della Mazza (foto by David Giovannoli)
Abbazia di Santa Maria d’Arabona (foto by terrepescaresi)

La struttura si presenta, esternamente, quasi nella sua originaria essenza di antica chiesa medioevale ed è stata realizzata nei pressi di un suggestivo bosco di alta quota. È ancora presente il romitorio dove viveva l’ultimo eremita e che oggi continua a ricevere chi vuole soggiornare in questo luogo.

Bestie, motivi floreali e colonne tortili scolpite con ornamenti, a distanza di mille anni, decorano ancora l’edificio e nascondono un significato che solo in pochi, ormai, possono essere in grado di decifrare. Simboli che aiutavano l’eremita, o chi vi accedeva, a meditare e a riflettere sul proprio cammino interiore, come l’uva decorata sulla parte alta della colonna del portale d’ingresso, che rimanda a diversi significati, in special modo alla festa a cui saranno chiamati tutti coloro che sceglieranno di condurre la propria strada verso Dio, o i due leoni sul portale laterale, ora murato, che ricordavano, a chi vi entrava, la regalità e la sacralità del luogo, nonché di dover rendere conto, un giorno, del coraggio che hanno avuto in vita nel seguire la strada appropriata. O la colomba che, probabilmente serviva a ricordare a tutti che, oltre al coraggio, per seguire la retta via c’è bisogno di umiltà e semplicità di cuore, oltre ai suoi altri innumerevoli significati.

Motivi floreali e tralci d’uva (foto by David Giovannoli)
Leoni rampanti, colomba e motivi floreali sul portale secondario, Eremo della Madonna della Mazza (foto by David Giovannoli)

Un suggestivo sentiero che parte nelle vicinanze dell’Eremo conduce ai suggestivi Mulini Rupestri nei pressi del paese di Pretoro scolpiti nella roccia e simili ai tanti altri eremi nelle circostanze dove, però, si elargiva pane materiale, anch’esso necessario per la sopravvivenza dell’uomo.

Mulino rupestre di Pretoro (foto by David Giovannoli)
Mulino rupestre di Pretoro n.2 (foto by David Giovannoli)
Mulino rupestre di Pretoro n.3 (foto by David Giovannoli)

Nell’eremo persiste ancora un’antica tradizione. Ogni ultima domenica di Aprile gli abitanti di Pretoro prelevano la statua della Madonna della Mazza, dando inizio ai suoi festeggiamenti, e la tengono nella propria chiesa parrocchiale fino alla prima Domenica di Luglio, giorno nel quale la riportano nella sede originaria. Questo perché la leggenda vuole che, il 2 Luglio di molti anni fa, quando i pretoresi ebbero l’idea di traslocare la Madonna in paese, nonostante una nevicata anomala che cadde su Pretoro, la statua fu miracolosamente ritrovata nel suo eremo. Nessuno l’aveva trasportata ma aveva autonomamente deciso di avviarsi da sola a piedi durante la notte. A testimonianza dello straordinario evento accaduto, sulla neve furono trovate le sue impronte. Non può mancare, come ogni eremo che si rispetti, il potere taumaturgico dell’acqua, durante il giorno di festa, che scaturisce dalla vicina fontana.

Dipinto di S. M. della Mazza all’interno della Chiesa madre di Pretoro, Sant’Andrea, dove in estate si ospita la statua dell’eremo (foto by David Giovannoli)
Fontana nei pressi dell’eremo (foto by David Giovannoli)

 

Riferimenti bibliografici:

  • Micati Edoardo, Eremi e luoghi di culto rupestri della Majella e del Morrone, CARSA Edizioni, Pescara 1990, pp. 92-93
  • Tavano Giovanni, Eremi d’Abruzzo: guida ai luoghi di culto rupestri, CARSA Edizioni, Pescara, 2007, pp. 38-39

“Eremi della Maiella”: 1. Eremo di Sant’Onofrio a Serramonacesca, 2. Eremo di San Giovannino a Serramonacesca, 3. Eremo della Madonna della Mazza a Pretoro, 4. Grotta del Colle a Rapino, 5. Eremo di Sant’Angelo a Palombaro, 6. Monastero di San Martino in Valle, 7. Eremo della Madonna dell’Altare

Eremi della Maiella e loro Tradizioni n°2 – San Giovannino a Serramonacesca

Continua il nostro viaggio nell’Abruzzo terra degli Eremi, proseguiendo il cammino sulla montagna madre della Majella. Custodi dell’Eterno che hanno permesso all’uomo di entrare in contatto con il Silenzio, dove è tutt’ora possibile recarsi per dare tregua all’irrefrenabile scorrere del tempo. Luoghi, proprio per questo motivo, non sempre accessibili a tutti o visibili ad occhi superficiali.  Memoria della storia di un popolo e delle espressioni culturali con le quali si esprimevano gli abitanti dei vicini paesi.

Gole dell’Alento dove è situato l’Eremo di San Giovannino (foto by David Giovannoli)

Il nostro secondo incontro alla scoperta degli eremi d’Abruzzo e delle tradizioni popolari continua a Serramonacesca con quello che veniva chiamato Eremo di San Giovannino, “San Giuannelle” in dialetto locale, e le adiacenti Tombe Rupestri nei pressi dell’Abbazia di San Liberatore a Maiella

Scalini d’ingresso all’Eremo di San Giovannino (foto by David Giovannoli)

Dedicato ad uno dei primi e più grandi anacoreti della storia, San Giovanni Battista, asceta del deserto che vestiva di soli pelli di cammello, grande profeta, predicatore e precursore di Gesù, modello per molti altri successivi eremiti della storia. L’evento più importante della sua vita fu l’episodio in cui battezzò il Messia lungo il Fiume Giordano. Per questo i luoghi di culto a lui dedicati, come molti altri eremi in suo nome presenti in Abruzzo, sono quasi sempre edificati lungo le sponde dei fiumi, dei torrenti, delle sorgenti o delle cascate.

Eremo di San Giovannino e Tombe Rupestri con l’evidente fisionomia di un teschio (foto by David Giovannoli)
Tomba rupestre n.1 (foto by David Giovannoli)
Tomba rupestre n.2 (foto by David Giovannoli)

Si ritiene che l’eremo sia stato fondato da alcuni anacoreti che hanno preceduto i Monaci benedettini della vicina e splendida Abbazia di San Liberatore a Maiella. Nelle adiacenze del sito sono ancora visibili, sulla parete rocciosa, alcune Tombe Rupestri le quali, nel loro complesso, riproducono straordinariamente la fisionomia di un teschio, quasi a voler ricordare ai passanti che, alla fine, tutti dovremo fare i conti con il nostro limite temporale e, di conseguenza, sarebbe meglio cercare di condurre una vita esemplare.

Abbazia di San Liberatore (foto by David Giovannoli)

A colpire non è la struttura dell’eremo, costituito da una cappellina molto semplice ricavata nella roccia, ma lo straordinario e suggestivo scenario naturale nel quale è immerso, quello delle Gole dell’Alento.

Tratto del torrente Alento n.1 (foto by Germana Di Rino)
Tratto del torrente Alento n.2 (foto by Germana Di Rino)
Tratto del torrente Alento n.3 (foto by David Giovannoli)

Privo di mura esterne presenta, ai lati, una piccola vasca di raccoglimento dell’acqua che stilla dalla parete rocciosa, la quale aveva la funzione di acquasantiera, e una tomba che, con molta probabilità, sarà appartenuta alla guida spirituale degli eremiti che vi abitavano. Al centro un piccolo incavo nel quale erano stati realizzati affreschi, purtroppo perduti, e dove era riposta la statua raffigurante San Giovanni Battista con le sembianze giovanili, anch’essa scomparsa, motivo per cui i serresi soprannominavano il luogo “San Giuannelle”, San Giovannino.

Vasca acquasantiera e nicchia dove era riposta la statua di San Giovannino (foto by I Luoghi del Silenzio)
Tomba all’interno della cappella dedicata a San Giovannino (foto by I Luoghi del Silenzio)

Il sentiero percorribile per arrivare in questo luogo di culto rupestre conduce anche alle alla Torre di Polegra dove poter ammirare un panorama mozzafiato sulle Gole.

Vista della Valle dell’Alento dalla Torre di Polegra (foto by Valerio Abbonizio)

I riti della religiosità popolare sorti in questo luogo, purtroppo, non si ripetono più da diverso tempo. Si possono solo dedurre per ipotesi, osservando ciò che avviene in luoghi analoghi. Poco prima dello spuntare del sole del 24 Giugno di ogni anno, infatti, giorno della ricorrenza di San Giovanni, gli abitanti dei paesini abruzzesi usano ancora recarsi presso i fiumi o al mare per bagnarsi con l’acqua che, dalla mezzanotte allo spuntare del sole, si ritiene assuma proprietà taumaturgiche e purificatrici.

Bagno nel torrente dell’Alento (foto by David Giovannoli)

Questo è anche il giorno del Solstizio d’Estate, giorno in cui il sole, giunto al punto massimo di declinazione, comincia la fase di decrescita e la luce solare delle giornate si avvia gradualmente ad attenuare fino all’arrivo del Natale, periodo in cui ricomincerà di nuovo a crescere. Momento dell’anno ritenuto sacro già precedentemente ma che con il cristianesimo raggiunse un valore profondo. L’azione del sole è facilmente assimilabile, infatti, a quella del Battista che, dopo aver battezzato Gesù, si “ritirò” per fargli spazio. La religiosità popolare ha da sempre creduto, quindi, che in questo giorno le acque riacquistassero le stesse valenze di quelle del battesimo con la capacità di curare e purificare, questa volta, non solo l’anima ma anche il corpo. È molto probabile che lo stesso rituale sia stato praticato, in passato, anche qui. Ciò che è certo, però, così come testimoniano ancora i più anziani, è che all’alba del 24 Giugno di ogni anno essi usavano recarsi sul pianoro dei monti che sovrasta il paese, e che si affaccia sull’Adriatico, per assistere allo strano fenomeno del sole che, nel sorgere, l’immaginario popolare vedeva “lavarsi nel mare”. Come se San Giovanni, ogni anno, battezzasse nuovamente Cristo, il sole per eccellenza. E nella cui sfera solare affermavano anche di vedere il profilo del volto del santo che li avrebbe aiutati a predire l’annata: se il suo volto nel sole, nell’uscire, era tendente al chiaro, l’anno sarebbe stato buono, tendente allo scuro avrebbe annunciato cattivo presagio.

 

Riferimenti bibliografici:

  • Micati Edoardo, Eremi e luoghi di culto rupestri della Majella e del Morrone, CARSA Edizioni, Pescara 1990, pp. 87-92
  • Tavano Giovanni, Eremi d’Abruzzo: guida ai luoghi di culto rupestri, CARSA Edizioni, Pescara, 2007, pp. 33-36
  • Nicolai Maria Concetta, Abruzzo 150 Antiche Feste, Edizioni Menabò, Ortona, 2014, pp. 177-178
  • Finamore Gennaro, Credenze Usi e Costumi abruzzesi, Adelmo Polla editore, L’Aquila, 1998, ristampa anastatica del 1890, pp. 152-168

“Eremi della Maiella”: 1. Eremo di Sant’Onofrio a Serramonacesca, 2. Eremo di San Giovannino a Serramonacesca, 3. Eremo della Madonna della Mazza a Pretoro, 4. Grotta del Colle a Rapino, 5. Eremo di Sant’Angelo a Palombaro, 6. Monastero di San Martino in Valle, 7. Eremo della Madonna dell’Altare

Eremi della Maiella e loro Tradizioni n°1 – Sant’Onofrio a Serramonacesca

L’Abruzzo è la regione con la concentrazione di Eremi, per densità sul territorio, più alta del mondo, preceduto solo dal Tibet e dalla Cappadocia. Questo grazie alla conformazione e all’energia spirituale che trasmettono i luoghi naturali incontaminati tra le sue montagne. Porte del Silenzio in cui poter ancora oggi entrare. Tracce di una storia plurimillenaria che, a volte, trae le sue origini molto prima dell’arrivo del cristianesimo e che è ancora possibile leggere tra le sue mura. Custodi di gesti e riti che si ripetono, ormai da millenni, dagli abitanti dei vicini paesi.

Il nostro primo viaggio alla scoperta degli eremi d’Abruzzo e delle tradizioni popolari comincia con l’Eremo di Sant’Onofrio a Serramonacesca situato sui monti della Maiella.

Ingresso dell’Eremo di Sant’Onofrio

Dedicato all’anacoreta Sant’Onofrio, il cui nome significa “Colui che è sempre felice”, il quale nonostante fosse figlio del re di Persia decise di vivere in eremitaggio come monaco copto nel deserto d’Egitto. Secondo la leggenda egli sarebbe sopravvissuto grazie al latte di una capra, e alla sua morte sarebbe stato sepolto tra le rocce dal suo discepolo Panunzio, il quale mise per iscritto la sua biografia, che si fece aiutare da due leoni. Sant’Onofrio suscita subito grande curiosità, agli occhi di chi lo guarda, perché rappresentato nudo, senza vestiti e unicamente ricoperto dalla lunghissima barba e dai capelli che scendono fino alle ginocchia. A ricordo, della vita semplice e di assoluta povertà che aveva scelto di seguire.

Interno dell’Eremo e statua di Sant’Onofrio (foto by David Giovannoli)

L’eremo fu fondato dai monaci benedettini della vicina e splendida Abbazia di San Liberatore a Maiella. Pare abbastanza improbabile che il Santo fosse potuto arrivare fino all’Abruzzo. Vi si recavano a vivere in solitudine per il periodo di tempo necessario alla loro ascesi spirituale, nel quale era imprescindibile privarsi di ogni bene materiale e rimanere in assoluta compagnia del Silenzio.

Abbazia di San Liberatore a Maiella (foto by pescaranews.net)

Inizialmente la struttura era costituita da una semplice grotta ma, con i secoli, e grazie alla forte devozione popolare degli abitanti di Serramonacesca, probabilmente per uno degli eremiti che la abitava, si è evoluta in ciò che vediamo oggi: una piccola chiesetta, semplice ma di grande suggestione, incastonata al di sotto di un’imponente rupe.

La rupe sovrastante l’eremo di Sant’Onofrio, vista dal basso (foto by David Giovannoli)

Le sue mura sono state erette come se volesse conservare dalle intemperie il ricovero nel quale si rifugiavano i suoi primi eremiti. All’interno sono situate una piccola cappellina, dove poter celebrare le funzioni religiose, e la statua del Santo. Il romitorio produce una grande suggestività ma a renderlo unico è un’altra particolarità. Ai lati dell’altare, infatti, appoggiato alla parete rocciosa, due entrate permettono l’accesso all’interno delle viscere della montagna. Nella parte più esterna si trova una stanza modellata nella roccia da cui è stata ricavata una celletta composta da un giaciglio dove riposavano gli eremiti, la cosiddetta “Culla di Sant’Onofrio“.

Culla di Sant’Onofrio (foto by Paolo D’Intino)

Dalla stanza si procede a dei profondi cunicoli ancora da esplorare, di cui si riesce a scrutare l’ingresso, e che gli anziani del paese affermano siano in grado di condurre al vicino Castel Menardo, la rocca di cui ancora si possono ammirare i resti.

Castel Menardo (foto by icastelli.it)

I riti della religiosità popolare sorti in questo luogo continuano a perpetrarsi a distanza di secoli. La sera della vigilia del 12 Giugno di ogni anno, infatti, giorno della ricorrenza del Santo anacoreta, i serresi accendono in suo onore le luci di una croce posta sulla cima del monte nei pressi dell’eremo, il cosiddetto “Fuoco di Sant’Onofrio“, visibile da tutto il paese. In passato venivano aizzati fuochi reali a ridosso della grotta. La mattina a seguire si dirama la processione dei devoti che dalle case muovono verso il romitorio per celebrare la messa, passando per il sentiero dove lo stesso Onofrio, secondo la tradizione popolare, avrebbe lasciato le sue impronte ancora oggi visibilmente impresse sulla pietra. A seguito, i fedeli si mettono in coda per eseguire il rituale dello strofinamento sulla “Culla di Sant’Onofrio“, nel quale la religiosità popolare vuole abbia dormito il santo e sul quale ancora oggi ci si sdraia per ottenere benefici contro i dolori lombari, i dolori alla pancia e le febbri ostinate.

Strofinamento Rituale (foto by Paolo D’Intino)

Non può mancare l’approvvigionamento all’acqua della “Fontana di Sant’Onofrio” che scaturisce nei pressi dell’eremo, anch’essa, con proprietà taumaturgiche. Prima di riscendere in paese per la processione di un’altra statua del santo conservata, stavolta, nella chiesa madre, è solito concludere con una conviviale colazione. In questo giorno è di rito anche la vendita, in paese, del formaggio dei pastori.

Fontana di Sant’Onofrio (foto by Paolo D’Intino)

 

Riferimenti bibliografici:

  • Micati Edoardo, Eremi e luoghi di culto rupestri della Majella e del Morrone, CARSA Edizioni, Pescara 1990, pp. 81-85
  • Tavano Giovanni, Eremi d’Abruzzo: guida ai luoghi di culto rupestri, CARSA Edizioni, Pescara, 2007, pp. 30-32
  • Nicolai Maria Concetta, Abruzzo 150 Antiche Feste, Edizioni Menabò, Ortona, 2014, pp. 174-175

“Eremi della Maiella”: 1. Eremo di Sant’Onofrio a Serramonacesca, 2. Eremo di San Giovannino a Serramonacesca, 3. Eremo della Madonna della Mazza a Pretoro, 4. Grotta del Colle a Rapino, 5. Eremo di Sant’Angelo a Palombaro, 6. Monastero di San Martino in Valle, 7. Eremo della Madonna dell’Altare

Abruzzo, un sostegno al primato Italiano dell’UNESCO – n°2

(foto by Wikipedia)

Siti UNESCO in Abruzzo secondo AbruzzoMania – Eremi

(vedi intro)

Eremo di S. Bartolomeo in Legio (foto by Trekking.it)

L’Abruzzo è il territorio che, insieme al Tibet, ha il maggior numero di concentrazione di Eremi al mondo, tutti di spettacolare bellezza. Le montagne, l’inaccessibilità dei sui luoghi, la conformazione della sua natura e la grande vocazione ascetica dei suoi abitanti hanno costituito gli elementi fondamentali per il loro sviluppo.

Ma perché considerarli patrimonio, non solo della nostra regione, ma del mondo intero? Ecco i nostri 3 motivi:

1. Gli Eremi abruzzesi hanno una caratteristica tutta loro: si trovano nei luoghi più impensabili e all’interno di paesaggi naturali straordinari! 

Papa Celestino V, ad esempio, amava costruirli negli anfratti naturali delle rocce, di cui ricordiamo l’Eremo di San Bartolomeo in Legio a Roccamorice, all’interno dell’incantevole scenario dei Canyon del Vallone Santo Spirito, e a ridosso di rupi rocciose che si affacciano nel vuoto, come ad esempio il Santuario della Madonna dell’Altare a Palena dove è sconsigliabile, per chi soffre di cuore, voltarsi dalla finestra. Ma non disdegnava nemmeno di edificarli sulle cime dei monti, tanto che ancora oggi vengono spesso scambiati, dagli alpini, con dei veri e propri rifugi. 

Eremo/Santuario della Madonna dell’Altare (foto by Abruzzo Turismo)

San Domenico abate, per intenderci il Santo per cui si festeggia la Festa dei Serpari a Cocullo, ce ne ha lasciato in eredità addirittura uno a ridosso di un lago, le cui acque, nei pressi del Lago di Scanno, sono cristalline come la purezza dell’anima a cui tendeva ad arrivare. Oggi è conosciuto da tutti con il nome di Grotta di San Domenico, a Villalago.

Eremo/Grotta di S. Domenico (foto by Onda TV)

Nel caso del Santuario di San Venanzio a Raiano, invece, ci troviamo difronte ad un luogo di culto edificato tra una sponda e l’altra di un fiume. Il ponte, infatti, in questi casi, non veniva inteso solo come mezzo per attraversare fisicamente un corso d’acqua ma anche come simbolo utilizzato per ricordare a tutti che, per riuscire a transitare dalla vita terrena alla vita eterna, è necessario, durante il cammino della propria esistenza, trovare il coraggio di affrontare i propri limiti. Essi però, sono come un fiume in piena che, per la paura di affrontarli, possono sviare il nostro cammino. Solo con l’ausilio di un ponte spirituale, ossia con il coraggio della fede, è possibile il loro superamento e un graduale passaggio ad una dimensione spirituale superiore. Proprio come San Venanzio da Camerino, che si dice abbia soggiornato in questo suggestivo luogo, amava fare nella sua vita ascetica.

Eremo/Santuario di S. Venanzio (foto by Terre colte d’Abruzzo)

2. Le tipologie di Eremi che si possono incontrare nella nostra regione sono innumerevoli e sono una magnifica espressione dell’ingegno umano: a volte ci si può imbattere dinnanzi a semplici altari innalzati nelle cavità rocciose, altre volte a chiese o a santuari, e può succedere addirittura di ritrovarsi difronte complessi monastici interamente costruiti nella roccia. Così come il vecchio Monastero di Sant’Angelo a Ripe costruito all’interno di una grotta che si suddivide in piccoli cunicoli e che i monaci benedettini seppero straordinariamente sfruttare per disporvi le loro celle e le stanze funzionali alla vita e alla preghiera. Nel punto più ampio, dove la roccia si apre in un ampio salone, è ancora oggi visibile la cappella dedicata a San Michele Arcangelo, raggiungibile attraverso antiche scale in pietra e stretti passaggi. Ma non vi spaventate se, una volta osservato l’eremo da lontano, per via delle sue tre aperture, assuma la fisionomia di un teschio. Che fosse stato un monito per i fedeli che vi passavano davanti?

Eremo/Grotta di Sant’Angelo a Ripa (foto by Korazym)
Altare di S. Michele Arcangelo, Grotta di Sant’Angelo a Ripe (foto by Italiavirtualtour.it)

3. In Abruzzo gli eremi custodiscono l’espressione religiosa, culturale, storica, antropologica e artistica a partire dall’uomo primitivo all’uomo contemporaneo. Fin dalla Preistoria, infatti, le grotte e le insenature rocciose hanno da sempre attratto l’essere umano. La loro assonanza con l’utero e il ventre materno, dal quale si nasce, aiutava a tornare in contatto con la propria “generatrice”, in questo caso, la madre terra. Entrando nelle cavità naturali si aveva, quindi, la possibilità, se in grado di affrontare la paura del buio e dei suoi pericoli, di entrarvi per uscirne “rinnovati”. Lo stesso fascino che continuarono a percepire, in questi luoghi, anche gli Eremiti cristiani. Qui, infatti, anche grazie alla natura che li circondava, essi hanno avuto, e continuano ad avere, la possibilità di isolarsi dal resto del mondo per affrontare la paura delle proprie fragilità personali e sentirsi in intimità con il loro Creatore per rinascere a “vita nuova”. Ma nelle profondità della propria esistenza, e in quelle che portano al buio sotterraneo delle grotte, gli “inferi”, è sempre in agguato il diavolo. Ecco perché il culto di questi eremi è spesso dedicato a San Michele Arcangelo, il suo principale nemico.

Ancora oggi è possibile ammirare, a Sulmona, nell’Eremo/Monastero di Sant’Onofrio a Maiella, il passaggio storico religioso e artistico a cui ci siamo riferiti prima, osservando tutti i suoi elementi in un unico luogo: dalle Pitture rupestri degli uomini primitivi all’interno della caverna, al Tempio Romano di Ercole Curino, fino ad arrivare alle pitture medioevali e barocche.

Gli eremi d’Abruzzo, di cui abbiamo parlato solo brevemente, quindi, sono uno scrigno di storia, cultura, antropologia, religione, arte, ingegno umano e valore paesaggistico di immensa bellezza. Vogliamo deciderci, allora, di farli finalmente riconoscere nella Lista Unesco come Patrimonio dell’Umanità?

Scopri gli altri “Patrimoni abruzzesi dell’Umanità” negli articoli precedenti: La costa dei Trabocchi