Luogo di deserto, grazie alle sue alte vette e ai suoi paesaggi selvaggi e sconfinati, ponte di accesso per l’Infinito per molti dei più grandi asceti alla ricerca di Silenzio, l’Abruzzo è, da sempre, una terra intrisa di sacralità.
Il percorso attorno alla montagna “madre” della Maiella che ci sta portando dal versante settentrionale al lato occidentale che comincia ad affacciarsi sulla Conca Peligna, ci ha condotti all’imperdibile Eremo di San Michele Arcangelo a Pescocostanzo.

Così come la maggior parte dei più importanti luoghi di culto “micheliti” sono situati all’interno delle grotte, anche l’eremo pescolano è stato edificato a ridosso di una grossa insenatura rocciosa. Nonostante la sua posizione isolata e sui monti, esso era collegato ad un’ampia via di comunicazione che poteva partire da Pavia, passando per Benevento, per arrivare ad uno dei più importanti santuari dedicati all’Arcangelo del mondo, quello di Monte Sant’Angelo. La via era costellata, per tutto il suo percorso, da una fitta rete di luoghi di culto, quasi equidistanti tra loro, eretti in onore di Michele. La principale rotta, probabilmente già utilizzata dai romani, che i Longobardi seguivano per collegare la loro capitale pavese, insieme alla loro più importante città meridionale beneventana, al luogo di apparizione del loro santo guerriero protettore sul Gargano.


La scelta della grotta, quando si parla di San Michele, non è casuale. Essa, infatti, esprime un forte valore simbolico, facente parte, nell’immaginario collettivo, soprattutto medioevale, delle porte d’accesso agli inferi. Così come manifestato anche da Dante Alighieri nella Divina Commedia, infatti, si pensava che queste insenature, molto spesso dirette verso l’interno oscuro, e il più delle volte ignoto, delle rocce, dava l’impressione che esse fossero collegate con le profondità della terra e, quindi, l’Inferno. Per questo motivo si decideva di dedicare gli anfratti al culto del più acerrimo nemico del demonio, l’unico che fu in grado di dominarlo e di cacciarlo dal Paradiso, l’Arcangelo Michele, il quale si sovrappose alle figure di simile valenza di epoca precristiana come, nel caso del territorio abruzzese, l’eroe greco-romano Ercole. La grotta, inoltre, era una metafora tangibile del profondo interiore nel quale l’asceta poteva ritrovarsi. Un’interiorità per cui l’uomo ha bisogno di un coraggioso Silenzio senza il quale è impossibile fare i conti con il proprio ignoto ed affrontare i pericoli verso il quale conduce. Un’aspra lotta contro i propri mali e i propri limiti personali per cui si invocava, così come per la permanenza nelle grotte, l’aiuto dell’Arcangelo.


Anche San Francesco d’Assisi, molto devoto a San Michele, utilizzò questa strada durante i suoi spostamenti per recarsi al Santuario di Monte Sant’Angelo, visto che questa era la strada più importante dell’epoca che congiungeva la vicina Spoleto al luogo di culto sul Gargano. Per questo si presume che il fondatore dell’ordine francescano abbia avuto la possibilità di soffermarsi, nel suo passaggio, anche all’Eremo di Pescocostanzo. Ancora oggi sono visibili i luoghi dedicati all’Arcangelo posti lungo questa via, e, laddove oggi scomparsi, la loro passata esistenza è rintracciabile attraverso i vari toponimi ancora sopravvissuti. Solol per citarne alcuni nel tratto abruzzese possiamo ricordare: la Chiesa di San Michele situata sopra le Catacombe di San Vittorino, il Convento di Sant’Angelo d’Ocre, Villa Sant’Angelo, l’Eremo-Grotta di San Michele a Bominaco, la Chiesa di San Michele Arcangelo a Beffi, la Grotta di San Michele a Roccacasale, l’Eremo di Sant’Angelo in Vetulis sita tra Sulmona e Pacentro.


Non vi è molta memoria dei riti della religiosità popolare se non quelli della frequentazione della grotta nei periodi delle festività di San Michele. Degno di nota era l’appartenenza del luogo all’Abbazia di Monte Cassino che lo aveva scelto come luogo di ritiro, ascesi e solitudine ma anche come postazione ideale il controllo delle greggi che transitavano lungo la vallata. Fino alla sopravvivenza della transumanza, infatti, anche a seguito dell’abbandono da parte dei monaci, l’eremo è rimasto punto di riferimento per la sosta dei pastori transumanti, tra l’altro molto devoti al principe della milizie celesti, che si accingevano a raggiungere il capoluogo foggiano.
Riferimenti bibliografici:
- Micati Edoardo, Eremi e luoghi di culto rupestri della Majella e del Morrone, CARSA Edizioni, Pescara 1990
Riferimenti sitografici:
- www.diquipassofrancesco.it/IT-Ali/
“Eremi della Maiella”: 1. Eremo di Sant’Onofrio a Serramonacesca, 2. Eremo di San Giovannino a Serramonacesca, 3. Eremo della Madonna della Mazza a Pretoro, 4. Grotta del Colle a Rapino, 5. Eremo di Sant’Angelo a Palombaro, 6. Monastero di S. Martino in Valle a Fara S. Martino, 7. Eremo della Madonna dell’Altare a Palena, 8. Eremo di San Michele a Pescocostanzo