L’Abruzzo è una regione non solo con la concentrazione di Eremi, per densità sul territorio, più alta del mondo, preceduto solo dal Tibet e dalla Cappadocia, ma anche un territorio tempestato di Monasteri e di Chiese romaniche. Ad ogni eremo, infatti, quasi sempre corrispondeva un Abbazia dalla quale i monaci partivano alla ricerca di un Silenzio che solo nella solitudine e nel deserto delle montagne abruzzesi era possibile trovare. Luoghi, come le grotte, spesso lasciati nelle condizioni in cui la natura li aveva conformati, altre volte, a seconda dell’importanza che assumevano venivano preservati da rudimentali architetture che, a distanza di secoli, li custodiscono come scrigni e ci permettono di vivere ancora momenti di Eternità.
Il nostro viaggio alla scoperta degli eremi d’Abruzzo e delle tradizioni popolari prosegue con l’Eremo di Santo Spirito di Fara San Martino a Fara San Martino situato sui monti della Maiella.

Dedicato San Martino di Tours, soldato romano nato da genitori pagani in Pannonia, oggi l’attuale Ungheria, che secondo la tradizione donò metà del suo mantello ad un mendicante seminudo che pativa il freddo durante un gelido acquazzone, facendo subito miracolosamente schiarire il cielo e rendendo la temperatura più mite. Gesto che, nella stessa notte, provocò anche l’apparizione di Cristo rivestito dello stesso lembo di mantello donato al povero, e che gli fece prendere la decisione di convertirsi al cristianesimo. Uno dei fondatori del monachesimo in occidente, eremita e cercatore della vita ascetica ed uno dei Santi più venerati dai Longobardi, fondatori del paese di Fara S. Martino.
L’eremo, che altro non è che una semplice grotta, è stato fondato dai monaci benedettini della vicina e splendida Abbazia di San Martino in Valle, di cui si hanno le prime fonti storiche che risalgono all’829. La tradizione vuole che sia stata edificata dallo stesso santo arrivato sulla Maiella all’interno del Canyon da lui creato per aver aperto a gomitate una via tra le rocce per permettere agli abitanti di Fara di accedere ai pascoli e alle fonti d’acqua.



L’abbazia, purtroppo, fu abbandonata l’8 settembre del 1818 a seguito di una frana che lo ricoprì completamente di detriti. Nel 2009 un’operazione di scavi la riporto alla luce e, nonostante siano rimaste solo rovine, i suoi resti, all’interno del vallone e tra le immense pareti rocciose che la circondano, creano un’intensa suggestione. Se si osserva attentamente, inoltre, è ancora possibile leggere la sua storia attraverso alcune delle decorazioni che adornavano i suoi capitelli, segni d’un tempo che non verrà mai più sepolto.



Seppur resta difficile credere che San Martino di Tours sia riuscito ad arrivare in Abruzzo, la tradizione popolare ha saputo fondere e collegare i suoi luoghi con la storia, questa volta reale, di un altro eremita di nome Martino, abruzzese e nato ad Atessa nel quattrocento, tutt’ora venerato e che un tempo si ritirò nel Silenzio proprio negli stessi luoghi in cui si ritiravano i monaci benedettini del vicino monastero. La tradizione narra che all’approssimarsi della sua morte il Santo, tornato in paese, chiese al popolo di commemorarlo portando ogni anno dei ceri nel luogo del suo eremitaggio.



A ricordarlo sono i suoi compaesani che ogni anno compiono un rituale in suo onore chiamato “La ‘ntorcia” di San Martino”.

Un pellegrinaggio impegnativo, ma ricco di emozioni e carico di spiritualità che si mette in scena tutte le prime domenice del mese di maggio. I pellegrini partono di notte, intorno alle 3 del mattino uscendo dalla Chiesa di San Leucio in direzione del Vallone di Santo Spirito di Fara San Martino portando in dono all’eremita cinque grandi ceri votivi del peso di circa 7 chili e adornati di fiori, chiamati “n’torcia“, rito necessario, secondo la credenza popolare, a propiziare il buon esito dei raccolti.

Un percorso abbastanza lungo, circa 30 chilometri, lungo il quale, però, i devoti atessani trovano ristoro grazie agli abitanti dei paesi attraversati che, molto spesso, decidono di unirsi al loro cammino. Arrivati a destinazione, i pellegrini lasciano due mazzi di spighe di grano e due ceri nella chiesa principale del paese di Fara San Martino, si fermano nella chiesa di Santa Maria dell’uliveto che si trova all’imbocco della gola di San Martino, e giungono ai ruderi dell’antica Abbazia di San Martino in Valle. I devoti più temerari saliranno, infine, fino alla grotta. Qui deporranno le ultime “ndorce” e le accenderanno per poi raccogliere delle piccole pietre al suo interno, definite “le cicelitte”, usate, una volta a casa, per guarire i dolori addominali o per benedire i propri campi.
Riti della religiosità popolare che risalirebbero agli ancestrali culti delle divinità solari in cui, sin dalla preistoria, si usavano accendere fuochi, simbolo maschile del sole e dei suoi raggi, all’interno delle grotte, simbolo femminile del ventre materno, per propiziare la fertilità della Madre Terra. Un rituale molto simile nei particolari anche a quello compiuto nell’antica Grecia in onore di Apollo.

Riferimenti bibliografici:
- Micati Edoardo, Eremi e luoghi di culto rupestri della Majella e del Morrone, CARSA Edizioni, Pescara 1990
- Nicolai Maria Concetta, Abruzzo 150 Antiche Feste, Edizioni Menabò, Ortona, 2014
“Eremi della Maiella”: 1. Eremo di Sant’Onofrio a Serramonacesca, 2. Eremo di San Giovannino a Serramonacesca, 3. Eremo della Madonna della Mazza a Pretoro, 4. Grotta del Colle a Rapino, 5. Eremo di Sant’Angelo a Palombaro, 6. Monastero di San Martino in Valle, 7. Eremo della Madonna dell’Altare