Continua il viaggio straordinario alla scoperta delle 305 Eccellenze dei 305 Comuni d’Abruzzo. Oggi Abruzzomania, con la rubrica Eccellenze d’Abruzzo, presenta la sua 49° Eccellenza, , quella del comune di Pescocostanzo in provincia di L’Aquila, il borgo storico più bello d’Abruzzo. Ricordo che di eccellenze abruzzesi ne abbiam censite ben 305, una regina per ognuno dei 305 comuni della nostra regione, per cui ne mancano all’appello 256, tutte già selezionate! Ogni paese d’Abruzzo merita di partecipare a questo concorso di Eccellenze d’Abruzzo per mettere in mostra la sua eccellenza speciale ed avere il suo meritato riconoscimento.
Nella regione degli Altipiani Maggiori d’Abruzzo, tra immensi e silenziosi pascoli, a 1.400 d’altezza si trova il magnifico borgo di Pescocostanzo. Centro di antica origine e luogo di intensa civiltà, vanta una favorevole attività culturale, testimoniata dall’eccezionale patrimonio di monumenti rinascimentali e barocchi che hanno avuto origine dalla straordinaria vicenda artistica che sviluppò soprattutto tra il 1440 e 1700.
Il borgo è compreso nel Parco Nazionale della Maiella, la montagna dai grandi canyon, pareti di roccia e fitti boschi nei valloni e tra Pescocostanzo e Cansano si estende, tra i 1290 e i 1420 m di quota, il Bosco di S. Antonio, una delle più belle faggete d’Abruzzo. Protetto come Riserva Naturale dal 1985, il bosco, oltre ai faggi, custodisce nei suoi 550 ettari numerose piante secolari, aceri, peri selvatici, tassi, cerri e ciliegi. All’inizio dell’estate vi fioriscono la genziana, la peonia e una delle orchidee selvatiche più rare d’Italia, la pipactis purpurea. In inverno, è possibile praticare lo sci di fondo tra i faggi e nel pianoro sottostante, mentre l’estate si presta per passeggiate e picnic, habitat di rari uccelli, quali il picchio, il pettirosso, il fringuello e, tra i rapaci, lo sparviero e la poiana.
Pescocostanzo, non è solo natura, infatti la tradizione artigiana è riuscita a rimanere viva e a salvare il patrimonio di esperienza, capacità tecnica, stile e qualità. La lavorazione del merletto a tombolo, quella della filigrana e del ferro battuto, rappresentano un punto di forza della sua tradizione. Pescocostanzo interpreta egregiamente l’antico ruolo di meta di turismo, arte e cultura, di soggiorno estivo ed invernale in uno straordinario ambiente naturalistico, offrendo una vacanza, estiva ed invernale, integrata in un comprensorio che rappresenta con le infrastrutture e le ricettività delle vicine cugine Rivisondoli e Roccaraso, l’offerta montana più completa della montagna abruzzese.
Le prime notizie riguardanti il borgo derivano da un documento del 1108, in cui si legge della cessione di Pescocostanzo da parte del monastero di San Pietro Avellana, dipendenza di Montecassino, a un signore laico, Oddone, membro del ramo dei conti di Valva e residente a Pettorano, il quale lasciò però ai monaci la Chiesa di S. Maria del Colle. Ai conti di Pettorano succedettero, a partire dalla seconda metà del ‘200, i nuovi feudatari legati ai sovrani angioini e dal 1325 al 1464 signori di Pescocostanzo furono i Cantelmo, ed è in questo periodo (tra il 1300 e 1440) che la storia del borgo cambia grazie all’influenza derivata dall’insediamento di un nucleo di artigiani lombardi dediti ad attività edili.
L’afflusso di questi maestri lombardi, richiamati da una forte committenza della borghesia locale, dall’ubicazione del paese, vicino alla “via degli Abruzzi“”, luogo di transito per scambi commerciali e culturali, attraverso la dorsale appenninica, fra il Nord e il sud d’Italia, e passante per l’altopiano delle Cinquemiglia e dalla disponibilità di cave di pietra, costituì una presenza incisiva, le cui testimonianze sono ravvisabili nel gergo dei muratori, nell’ onomastica di alcuni cittadini, nel rito del battesimo per immersione (tipicamente ambrosiano), nella presenza di un secondo protettore del paese, di parte lombarda, S. Felice e, per il tramite di donne lombarde, nella lavorazione del merletto a tombolo, anche se, nonostante l’ausilio di informazioni ricavabili da sculture, pitture e vasi antichi, che confermano l’impiego di attrezzi di lavoro non dissimili da quelli in uso ancora oggi, e le testimonianze di storici e poeti dell’epoca, è difficile risalire alla fase di passaggio dalla lavorazione con l’ago a quella con i fuselli (“tammarieje“), verosimili eredi di ibridi evolutisi nel tempo. Da una prima testimonianza storica sulla predilezione per i merletti da parte di Caterina dei Medici, nel 1547, si passa alla leggenda tramandata dallo studioso francese Lefebure, il quale attribuisce a Venezia la primogenitura di un intreccio di fili che sarebbe stato eseguito con l’ausilio di piombini pendenti da una rete di pescatori, carica, oltre che di pesci, di un’alga con meravigliose ramificazioni pietrificate: l’antenato della trina a tombolo. I pochi scritti sull’argomento lasciano immaginare che la tecnica del fusello sia nata prima del Rinascimento e abbia raggiunto valori di vertice a Venezia, in anticipo rispetto alle altre zone che l’hanno adottata. Notizie sul merletto a tombolo si hanno anche da un documento della famiglia d’Este di Ferrara, nel 1476, e dal riferimento a una “striscia a dodici fusi” per lenzuolo, in un contratto stipulato a Milano.
Si può supporre che, data l’intraprendenza delle classi locali evolute, l’artigianato del tombolo abbia tratto giovamento a Pescocostanzo dai contatti con i principali centri di diffusione dell’epoca come Milano, per il determinante apporto delle maestranze lombarde, a partire dal secolo XV (come sostiene il famoso storico pescolano dr. Gaetano Sabatini) e Venezia, oltre che per i continui contatti con l’Aquila e l’influenza esercitata lungo le coste abruzzesi, ma forse anche per il rapporto di amicizia tra Caterina dei Medici e Vittoria Colonna. il cui contributo all’emancipazione pescolana potrebbe avere scavalcato la funzione politica in più di un caso. Lucilla Less Arciello, altra pescolana d’elezione, sostiene questa seconda ipotesi in un suo pregevole lavoro intitolato “Cristalli di neve in una trina”. Poi c’è anche Genova, che alcuni studiosi citano come patria del tombolo. Qualunque sia l’ipotesi più attendibile sulle origini del tombolo, resta il fatto che la scuola pescolana diventa un fenomeno specifico, un’industria e un patrimonio per l’intera collettività locale, in cui la famiglia si trasforma in laboratorio artigiano: ogni bambina, appena possibile, viene iniziata al tombolo mediante l’esecuzione graduale della “sceda“(scheda), che fissa le nozioni basilari di questa arte; ogni giovanetta in età da marito possiede un corredo principesco di tovaglie. tovaglioli, fazzoletti, lenzuola, centri, pizzi, merletti, che assumono nomi dialettali diversi a seconda del punto o della complessità della figura in cui la fantasia ha sempre la sua parte.
Tenendo anche presente che il merletto a tombolo coinvolge altri artigiani, come il sarto per la preparazione del “cuscino” (il tombolo) e per l’imbottitura con erba falasca; il falegname per la realizzazione dei fuselli (“tammarieje“) in legno di noce, pero o ulivo stagionato, e dell’apposito cavalletto di supporto del tombolo; il disegnatore per l’elaborazione dei modelli, che richiedono una profonda conoscenza delle tecniche di lavorazione. Chiese e cappelle private, che le ricevono in dono e palazzi patrizi e case sono arredati con “pezzi” di valore. Durante l’ultima guerra, i tedeschi, che ne fecero bottino, manifestarono apertamente la loro meraviglia per le ricchezze e la varietà di quel patrimonio, nel quale figuravano, oltre a merletti in seta, esecuzioni con fili d’oro e d’argento. I merletti di Pescocostanzo, la cui compattezza di tessitura non ha uguali in un vasto circondario (Marche incluse) e i cui disegni sono a volte autentiche rarità o esclusiva di qualche trinaia o famiglia, fanno oggi splendida figura nelle esposizioni di industrie tessili italiane ed estere. Buona parte del merito va assegnato alla specializzazione e all’inventiva dei disegnatori locali. L’odierno merletto a macchina, per quanto ineccepibile nella esecuzione, non potrà mai competere con la morbidezza e il calore della lavorazione a mano se non per motivi di costo di produzione, così che, non trattandosi di lavoro su base industriale ogni pezzo è da considerare un “unicum”. Da qualche anno sono visitabili la Scuola del Merletto a Tombolo e il relativo museo realizzati dal Comune nel , in piazza Municipio.
Oltre al tombolo Pescocostanzo vanta anche l’arte del ferro battuto che ha origini molto antiche e una tradizione particolare. Esistente qui fin dal Medioevo, questa arte ricevette un decisivo apporto anch’essa dall’arrivo delle “compagnie” dei Mastri lombardi: “scalpellini, intagliatori, fabbri”, che affluirono in Abruzzo a partire dalla metà del’400 e si insediarono numerosi a Pescocostanzo, facendone il centro di artigianato artistico di più alto livello nella regione. Il vertice dell’arte del ferro battuto si raggiunse a Pescocostanzo alla fine del “600”, quando il fabbro pescolano Sante Di Rocco (1663-1705) realizzò, tra il 1699 e il 1705, il grandioso cancello che chiude l’accesso alla Cappella del Sacramento nella Basilica di Santa Maria del Colle: una delle opere più originali di questo genere che esista in Italia. Altri lavori in ferro di grande maestria sono presenti nella stessa chiesa (l’altare maggiore in ferro, opera del maestro Nicodemo Donatelli) e in arredi delle facciate degli edifici del centro abitato: testimonianza di quanto tale arte fu apprezzata nella comunità cittadina, in cui alcune famiglie l’hanno tramandata di padre in figlio fino ad oggi. Alla Bottega Donatelli va conferito il merito di aver fatto tesoro di questa eredità culturale e di averla custodita intatta e viva nel tempo.
Un’altra delle peculiarità di questo incredibile borgo è l’Artigianato orafo della filigrana (o filograna), un genere di lavorazione dell’oro e dell’argento basata sull’intreccio e sulla saldatura, nei punti di collegamento, di sottili fili di metallo ritorto, o lamine, sagomati o spiralizzati per la formazione di arabeschi e disegni in genere disposti simmetricamente. La sua evoluzione artigianale risale presumibilmente all’artigianato greco. Partendo dal 2000/2500 a.C., la filigrana trova una definitiva tecnica di lavorazione presso gli Etruschi, in modo particolare con decorazioni di lamine in forma di fiori o profili geometrici inseriti simmetricamente, spirali ecc, specie nell’oreficeria religiosa, greca ed etrusca in un primo tempo, romana, barbara e musulmana successivamente. Per quanto riguarda Pescocostanzo, vi sono da segnalare interessanti monili in argento con motivi filigranati, rinvenuti durante gli scavi archeologici in località Colle Riina, dopo l’apertura delle tre tombe longobarde rimaste intatte, i quali potrebbero offrire spunto a nuove ipotesi sull’importazione locale del tipo di lavorazione. Dopo una decadenza (o fase poco documentata) di circa due secoli, la filigrana ha recuperato popolarità verso il XVI – XVII secolo a Genova e a Venezia (e forse Milano), per esplodere in realizzazioni folcloristiche verso il XIX secolo presso le popolazioni dell’Europa centrale e in Spagna. Dall’Italia settentrionale essa è stata sicuramente esportata nel meridione, passando probabilmente orafo per Napoli o Sulmona prima di arrivare a Pescostanzo. Il primo riferimento all’attività orafa da parte del catasto generale del comune di Pescocostanzo risale all’anno 1748 e coincide col superamento di una fase critica dell’economia locale. Di orafi in epoche precedenti ogni notizia è vaga.
Caratteristica della filigrana tradizionale sono la lavorazione e la saldatura a mano, le quali, come si verifica per il tombolo eseguito con cuscino e fuselli anzichè a macchina, conferiscono al prodotto una morbidezza e un respiro inimitabili; tuttavia, non essendo facile distinguere a prima vista la fattura industriale (fusione) da quella artigiana (saldatura a mano) è opportuno informarsi sulla tecnica di lavorazione di un oggetto prima dell’acquisto. Rientrano nella tradizione anche figure o simboli ottenuti con placchette sagomate in oro assiemati per mezzo di spiraline o altri motivi filigranati. Un esempio tipico è la “presentosa“, spilla filigranata in oro, in fase di rilancio da parte dell’oreficeria locale nelle varie versioni fin qui elaborate. Nella tradizione rientrano ancora: “la cannatora“, collana girocollo consistente in un’infilata di “vacura” in lamina stampata a sbalzo (semplice oppure arricchita con grani in oro detti “prescine“), di cui esiste anche una versione moderna; le “cecquaje“, in genere orecchini e spille (di origine turca), lavorati a traforo (impreziositi a volte con pietre, cammei, corallo ecc.), riproducenti oggetti, figure o amuleti di ispirazione apotropaica; altre varie lavorazioni (ricorrendo anche alla cera persa), tra le quali gli “attacci” per sorreggere il filo di lana di pecora utilizzato per ricavare calze e maglie.
L’uso dell’oro nella lavorazione di monili destinati all’ abbigliamento e alla commemorazione è legato all’importanza che esso assume sin dall’antichità nel culto del suo potere magico o divino e della sua durevolezza. Nessuna meraviglia che il suo culto abbia trasmigrato da aztechi, cinesi, egizi e greci alla nostra penisola e, progressivamente, alle sperdute lande degli Altopiani, quasi sicuramente per il tramite dei maestri lombardi e che un centro evoluto come Pescocostanzo ne abbia fatto tesoro raggiungendo nel campo livelli di tutto riguardo. Vi sono nomi di orafi famosi nel passato, forse insuperabili, a cominciare dai Del Monaco, Falconio, Del Sole, Pitassi, ecc., a valle dei quali gli unici superstiti sono, verso gli inizi del XX secolo, le famiglie Domenicano e Tollis, depositarie di un patrimonio secolare di conoscenze.
Concludiamo questo straordinario excursus con le fiabe, la favolistica e le credenze popolari che costituiscono un’altra notevole componente del patrimonio culturale di Pescocostanzo. Da alcune fiabe e superstizioni raccolte in loco e riportate da Gennaro Finamore nel suo volume “Novelle popolari abruzzesi”, si ha conferma della chiara radice pescolana della loro elaborazione, poiché il tessuto narrativo, è talmente puntuale nei riferimenti al comprensorio comunale da eliminare ogni dubbio in proposito. Qualche perplessità potrebbe nascere per la Madonna delle Grazie, nominata nella prima fiaba, la quale sembra non avere alcunché in comune con la stessa, ubicata attualmente al Colle di S. Maria, come anche per il “Ponte di Pietra”, un rudere in quel di Pizzo di Coda, ancora transitabile prima della distruttiva bonifica del bacino del torrente “La Vera”, e per il “Colle delle Sante Celle”, toponimo non riportato sulle carte dell’IGM ma ancora oggi adottato come riferimento inconfondibile al distrutto “Monastero”, il quale sorgeva grosso modo in prossimità delle attuali masserie Macino. Per il resto, comunque, fatto piuttosto insolito nella favolistica, i richiami all’ambiente cui si riferisce ogni storia, sono a portata delle esperienze e conoscenze locali, senza però l’uso di re, regine, principi, principesse ed altri ingredienti di routine, fatta eccezione per qualche fuggevole drago o strega. I testi, di cui molti anziani di “Pesco” serbano memoria, sono ripresi fedelmente dal volume del Finamore sopra citato.
“Il monumento religioso più rappresentativo di Pescocostanzo è la Basilica di Santa Maria del Colle, ricostruita nel 1456 dopo un terremoto. L’ampia aula quadrata dalla caratteristica spaziale unica in Abruzzo, è a cinque navate. L’ingresso laterale, che risale al 1580, con imponente scalinata e portale tardo romanico con lunetta affrescata, è oggi quello principale. Di notevole interesse gli splendidi soffitti lignei, quello dell’ottavo decennio del XVII secolo di Carlo Sabatini e i due intermedi del 1742 dorati e intagliati, che incorniciano tele di pregio, l’altare maggiore e la cancellata in ferro battuto sono una sintesi dell’operato delle maestranze abruzzesi nell’oreficeria del barocco, il Cappellone del Sacramento, opera di Santo di Rocco e Norberto Cicco, del 1699-1705, opere d’arte come la statua lignea medievale della Madonna del Colle, gli stucchi di Giambattista Gianni e la pala d’altare di Santa Caterina di Tanzio da Varallo, che mostra la Madonna dell’incendio sedato (1614). Accanto alla Basilica si trova la Chiesa di Santa Maria del Suffragio dei Morti del XVI secolo, con la facciata che riproduce una tipologia molto diffusa nella Majella, il portale seicentesco con timpano triangolare sorretto da colonne poste su alte basi, con la decorazione barocca di due teschi affiancati dal retro. All’interno un pregevole altare in noce e il soffitto a cassettoni lignei è del 1637, realizzato dai pescolani Bernardino d’Alessandro e Falconio Falconi.”
“Di notevole pregio in ambito civile è il Palazzo Fanzago del XVII secolo, ricavato dall’ex convento di Santa Scolastica, progetto di Cosimo Fanzago che mostra i portali in pietra a tutto sesto, aperti nel corso del XIX secolo, per ospitare botteghe al pian terreno; le nicchie con le paraste ribattute da volute a mensole inginocchiate costituiscono un episodio chiave dell’opera di Fanzago, presentando analogie con l’altare della chiesa del Gesù e Maria e da visitare anche Palazzo Grilli edificazione del XVII secolo, Palazzo del Municipio del XVIII secolo che sull’architrave del portale ha scolpito riprodotto nel 1935, il motto SUI DOMINA, in ricordo della liberazione dal feudalesimo del paese da Ferdinando IV di Borbone, Palazzo Cocco dotato di eleganti finestre settecentesche, Palazzo Ricciardelli che deve il suo nome al patriota Nicola Ricciardelli e infine chiudiamo la rassegna delle bellezze architettoniche del borgo con le fontane di Pescocostanzo, la Fontana di Piazza Municipio del XVII secolo in ferro e pietra, con al centro uno stelo in ghisa contornato da tre putti seduti di scuola pescolana, dalle cui bocche esce l’acqua. Nel marchio impresso si legge di un restauro del Novecento, dove è stata aggiunta sulla cima una conca abruzzese sorretta da una figura umana, e la Fontana Maggiore del XV secolo, con quattro cannule che gettano l’acqua e un rilievo del Ciclo della Vita con figure umane e vegetali.”
Fonti:
Pescocostanzo – I Borghi più Belli d’Italia (borghipiubelliditalia.it)
Pescocostanzo (AQ), il borgo più bello d’Abruzzo! – YouTube
Visit Pescocostanzo | Home (visit-pescocostanzo.it)
Pesconline.it – Il Portale di Pescocostanzo – Pescocostanzo Hotel, B&B e Ristorante su Pesconline.it – Pescocostanzo è On Line
Pescocostanzo – Wikipedia